Dopo più di 40 giorni di sciopero del settore universitario contro i tagli all’educazione pubblica, i margini di tempo per salvare il semestre accademico sono ormai ridottissimi. L’ultima grande marcia degli studenti il 15 novembre ha indotto il governo colombiano a riprendere i negoziati con i rappresentanti delle 32 università pubbliche del paese, sospesi il 6 novembre quando il presidente di estrema destra Iván Duque aveva escluso la disponibilità di risorse aggiuntive: «Come possiamo negoziare o promettere fondi che non ci sono? Dobbiamo sottrarli agli anziani, alla famiglie o ai sussidi sociali?».

Di fronte alla richiesta di un incontro da parte degli studenti, Duque ha espresso la propria disponibilità a trattare, ma solo a patto che sospendano lo sciopero. «Siamo al governo da appena 100 giorni e in 100 giorni non è possibile saldare il debito storico esistente in tanti settori», ha spiegato assicurando di condividere la loro causa, ma ribadendo l’impossibilità di mettere a disposizione i fondi necessari (più di 4 miliardi e mezzo di dollari solo per investimenti nelle infrastrutture).

Per tutta risposta, giovani provenienti da diverse regioni del paese, dopo aver percorso a piedi anche centinaia di chilometri, si sono concentrati nella plaza de Bolívar, a Bogotà, dando vita a un atto simbolico nominato «La sedia vuota», invitando il presidente a sedersi al tavolo delle trattative per discutere il pacchetto di proposte avanzate dal settore universitario.

Il dialogo è stato comunque riallacciato lunedì, con la partecipazione della ministra dell’Educazione María Victoria Angulo e di un delegato del ministero dell’Economia, anche se nessun accordo è stato ancora raggiunto. E nel frattempo lo sciopero va avanti, con l’annuncio di una nuova manifestazione nazionale il 28 novembre.

Se Duque esprime a parole solidarietà agli studenti, i fatti parlano, al contrario, di una violenta repressione delle marce studentesche da parte dell’Esmad, lo Squadrone Mobile Antisommossa della polizia colombiana che, secondo la denuncia di organizzazioni di difesa dei diritti umani, ha anche utilizzato propri agenti per infiltrarsi nelle proteste.

Tuttavia il presidente ha preferito puntare il dito contro l’Eln, l’unica guerriglia rimasta nel paese dopo l’accordo di pace con le Farc, accusandolo proprio di volersi infiltrare tra gli studenti per strumentalizzarne la mobilitazione.

Ma neanche di questo c’è da sorprendersi. Che nei primi 100 giorni del governo Duque i colloqui di pace con l’Ejército de Liberación Nacional, sospesi a fine luglio, non siano stati sicuramente una priorità è del tutto evidente. Per quanto l’Eln sia stato sempre deciso a portare avanti i colloqui in un quadro di stretta bilateralità, respingendo qualunque richiesta di natura unilaterale, il governo continua a porre al movimento, come condizione per negoziare, quella di interrompere ogni attività guerrigliera.

Condizione ritenuta inaccettabile, tanto più a fronte della lezione rappresentata dalla firma dell’accordo di pace con le Farc, di cui il 24 novembre ricorre il secondo anniversario: una volta ottenuto il disarmo della principale forza guerrigliera, il governo, prima di Santos e ora di Duque, ha disatteso totalmente i contenuti dell’accordo.

Tutto, insomma, è rimasto uguale a prima, compreso il massacro di leader sociali e di difensori dei diritti umani: 69 le vittime – contadini, afrodiscendenti, indigeni, ambientalisti – solo nei primi 100 giorni del governo Duque. E se a tutto questo si aggiungono le proteste dei più diversi settori sociali contro una riforma tributaria che prevede l’aumento dell’Iva del 18% sui prodotti del paniere, è facile comprendere come l’indice di consenso del nuovo presidente sia crollato addirittura al 33%: non era mai accaduto che un governo appena nato fosse già così sommerso da critiche e proteste.

Ma se la cosiddetta luna di miele con l’elettorato è finita ancora prima di iniziare, Duque va avanti per la sua strada, sparando le sue cartucce contro l’odiato governo Maduro: è di sabato l’annuncio che, da gennaio, il governo romperà le relazioni diplomatiche con il Venezuela bolivariano.