Non passa quasi più un giorno, in Colombia, senza che scorra del sangue: di un leader sociale, di un dirigente indigeno, di un ex combattente, di un candidato politico.

L’ELENCO È INTERMINABILE. Tra venerdì e sabato sono stati assassinati il dirigente sociale José Cortes, a Nariño, e tre ex guerriglieri delle Farc: due a Cúcuta, Milton Urrutia Mora e José Milton Peña Pineda, e uno in Chocó, Jackson Mena. Tutti e tre impegnati nel processo di reinserimento nella vita civile e tutti e tre lasciati privi di quelle misure di protezione che il governo si era impegnato ad assicurare. Con loro sono 140 gli ex combattenti uccisi a partire dalla consegna delle armi nel dicembre del 2016.
Poco prima, tra il 4 e il 6 settembre, erano caduti tre leader sociali ad Antioquia, portando a 13 il numero delle vittime nel dipartimento dall’inizio del 2019: il difensore dell’ambiente Fernando Jaramillo, che si era opposto ai progetti minerari nella regione, e due dirigenti contadini della giunta di Acción comunal La Milagrosa, un modello di organizzazione di base attivo soprattutto nelle aree rurali.

E SEMPRE IL 6 SETTEMBRE un’operazione dell’esercito nella Valle del Cauca aveva provocato la morte di un giovane indigeno, Omar Gusaquillo, e il ferimento di un altro, Diego Alexis Vega: secondo le testimonianze, l’esercito avrebbe fatto fuoco malgrado il giovane avesse gridato: «Non sparate, siamo disarmati, siamo della Guardia indigena». L’obiettivo, pare, sarebbe stato quello di montare un “falso positivo” del genere di quelli assai diffusi sotto il governo di Álvaro Uribe, quando i militari presentavano come guerriglieri caduti in combattimento giovani innocenti assassinati per via extragiudiziale.

APPENA PRIMA, la Onic, l’Organizzazione nazionale indigena della Colombia, aveva denunciato l’assassinio di tre dirigenti indigene nei dipartimenti di Arauca e Cauca, proprio alla vigilia della Giornata internazionale della donna indigena, il 5 settembre: due dirigenti nasa e una leader del popolo Makaguan, la 70enne Magdalena Cucubana, nota per la sua profonda conoscenza delle tradizioni del suo popolo. Omicidi a cui la Onic ha risposto ribadendo la propria opzione per la pace «con giustizia sociale»: «Crediamo che il conflitto, la violenza e il ricorso alle armi non abbiano alcun futuro nel nostro paese», ha affermato l’organizzazione, ricordando come, dalla firma dell’accordo di pace, siano stati 167 i leader indigeni assassinati.

Ma in vista delle elezioni regionali del 27 ottobre non vengono risparmiati neppure i candidati politici. L’aspirante sindaco del municipio di Toledo, in Antioquia, Orley García è stato raggiunto sabato da 13 colpi di arma da fuoco, appena cinque giorni dopo l’assassinio di Karina García, candidata a sindaca del municipio di Suárez, nel Cauca, insieme alla madre e ad altri quattro leader sociali e militanti politici.

ALLE MINACCE E AGLI ATTENTATI «alla vita di quanti aspirano a esercitare incarichi politici», come pure di dirigenti sociali, difensori dei diritti umani ed ex combattenti, il partito Farc ha reagito sollecitando per l’ennesima volta il governo a «dare risposte efficaci» e ribadendo il proprio impegno a favore del processo di pace. E il governo, per tutta risposta, ha ordinato – di fronte alla ripresa delle armi da parte dei dissidenti delle Farc – il ridimensionamento delle misure di protezione assicurate ai membri del partito che hanno invece optato per la via della pace.