È in un clima di forte tensione che si svolgerà oggi, nel diciannovesimo giorno della rivolta sociale, il secondo incontro tra il governo Duque e il Comité del paro, dopo la prima e fallimentare riunione esplorativa del 10 maggio. Al termine di un colloquio di tre ore con i mediatori delle Nazioni unite e della Conferenza episcopale, il Comitato, che riunisce tre centrali sindacali e diverse associazioni, ha infatti accettato di avviare un negoziato con il governo intorno al pacchetto di emergenza presentato lo scorso anno.

SI TRATTA tuttavia di un negoziato in salita, già solo considerando che, mentre il governo mira a fermare la rivolta, il Comité del paro pone come primo punto da trattare proprio quello delle garanzie per il diritto alla protesta. E non andrà di certo meglio con molte altre richieste dei manifestanti, dal reddito minimo garantito allo stop alle fumigazioni aeree con il glifosato per distruggere i raccolti di coca.

E come se non bastasse la distanza abissale tra le parti, lo zoccolo duro della protesta – quella «prima linea» che, esattamente come in Cile, è costituita essenzialmente da giovani e giovanissimi – non solo non si sente rappresentato dai dirigenti del comitato, ma neppure condivide la sua decisione di negoziare con il governo in mezzo a una repressione che non si è mai interrotta.

Una diffidenza ulteriormente alimentata dall’esito dell’incontro a Cali tra le autorità comunali e i giovani dei cosiddetti punti di resistenza, immediatamente interrotto alla notizia di un attacco dell’Esmad (lo Squadrone mobile antisommossa) a una manifestazione indigena nella vicina città di Buga. Ma ancora più grave è la situazione a Popayán, nel Cauca, dove a scatenare la rabbia dei manifestanti è stata la notizia del suicidio di una 17enne (la famiglia ha chiesto che non venisse rivelata la sua identità) che poche ore prima, nella notte del 12 maggio, aveva denunciato di essere stata fermata e molestata sessualmente da quattro agenti – un video riprende l’esatto momento in cui la ragazza viene sollevata per le braccia e le gambe -, mentre era impegnata a filmare la manifestazione. E se la polizia ha inizialmente provato a sostenere che la notizia era falsa, si è poi clamorosamente smentita procedendo a sospendere quattro sospettati, contro cui è stata aperta un’indagine preliminare.

Durante i pesanti scontri tra giovani e polizia registrati a Popayan proprio in seguito al suicidio della 17enne, un altro ragazzo, il 22enne Sebastián Quintero Múnera, è morto a causa di una granata stordente sparata dall’Esmad e circa 30 persone sono rimaste ferite, mentre un gruppo di manifestanti ha attaccato e dato alle fiamme la sede dell’Unità di reazione immediata della procura di Popayán, dove era stata detenuta la giovane.

LA NOTIZIA DEL SUO SUICIDIO ha però incendiato gli animi in tutto il paese, con presidi realizzati in diverse città da organizzazioni femministe, anche a fronte di almeno 16 casi di violenza sessuale da parte della polizia documentati dalla piattaforma Grita.

In questo quadro, persino il mondo del calcio è in fermento. Mentre dalla Conmebol (Confederación sudamericana de Fútbol) arriva la conferma che la Colombia ospiterà a giugno insieme all’Argentina la Coppa America, tanto i tifosi quanto i calciatori si oppongono allo svolgimento del torneo, sia per le spese che lo Stato dovrà sostenere sia per la grave crisi in corso. Non a caso, giovedì scorso, la partita della Copa Libertadores tra l’América de Cali e l’Atlético Mineiro è stata sospesa a causa dei gas lacrimogeni penetrati anche nel campo da gioco.

«COME CITTADINI, prima che calciatori, vogliamo esprimere il nostro totale appoggio alla protesta del popolo colombiano e ci uniamo alle voci di chi chiede un paese più giusto, equo e inclusivo», ha espresso giovedì in un comunicato l’associazione colombiana dei calciatori professionisti, chiedendo la sospensione di tutte le partite «finché non venga superata la crisi che stiamo attraversando».