A tre anni dall’arrivo del movimento #MeToo in Cina, un nuovo episodio di cronaca riposiziona il tema delle violenze sessuali al centro del dibattito pubblico. Nella giornata di lunedì, la Procura suprema del popolo e il ministero della Sicurezza Pubblica cinese hanno inviato un team a Yantai, nella provincia dello Shandong, per indagare sul caso di Bao Yuming, ex vicepresidente della società energetica Jereh Group, nonché consigliere non esecutivo indipendente del colosso delle telecomunicazioni ZTE, accusato di stupro dalla figlia adottiva.

Tutto è cominciato la settimana scorsa, quando le due aziende hanno ufficializzato le dimissioni di Bao in seguito alle accuse di Xingxing, pseudonimo utilizzato dai media locali per identificare la ragazza, di cui Bao aveva ottenuto la tutela nel 2015. All’epoca Xingxing aveva solo 14 anni e le difficoltà economiche in cui verteva la famiglia spinsero la madre a separarsi dalla figlia, confidando nella rispettabilità dell’uomo, un avvocato affermato di ritorno dagli Stati Uniti. Ma nel corso degli anni, dopo il trasferimento a Yantai, la premura paterna è degenerata in una possessività morbosa.

Secondo quanto denunciato dalla ragazza nell’aprile 2019, il 48enne le avrebbe ripetutamente usato violenza fisica e verbale, costringendola a vivere in isolamento. Una condizione che l’ha indotta a tentare il suicidio due volte, dopo aver cercato invano la protezione delle forze dell’ordine. Due indagini – di cui l’ultima di ottobre – sono state archiviate per mancanza di prove. Stando al South Reviews, la polizia locale avrebbe insabbiato il caso temendo ritorsioni a causa dello status del molestatore, una pratica piuttosto ricorrente in Cina dove le relazioni politiche e professionali (guanxi) spesso ostacolano il corso della giustizia.

Rilasciato su cauzione in attesa del processo, Bao ha risposto alle accuse definendo il rapporto con la figlioccia “consensuale”, come contemplato dalla legge penale cinese che fissa l’età del consenso a 14 anni. Soglia sotto la quale la controparte è perseguibile per stupro e condannabile alla pena capitale, sebbene una disposizione del 2013 stabilisca sanzioni severe anche nel caso in cui, a prescindere dall’età, a commettere le violenze sul minore sia un genitore adottivo.

Considerato fino a pochi anni tabù, in Cina, il tema delle violenze sessuali – perlopiù al femminile – ha ottenuto una visibilità mediatica senza precedenti sulla scia del movimento #MeToo. Sono sempre di più le donne disposte a rompere il silenzio sfidando l’omertà imposta dalla tradizione patriarcale confuciana. Dal 2017 a oggi, le denunce hanno colpito trasversalmente università, mondo del business e organi d’informazione, talvolta finendo persino in tribunale. Un risultato ottenuto con l’accondiscendenza delle autorità, impegnate in una travagliata riforma dello stato di diritto ma ancora pronte a imbavagliare le esternazioni più accese quando il malcontento rischia di compromettere la stabilità sociale.

Nella giornata di lunedì, la storia di Xingxing ha totalizzato oltre 790 milioni di visualizzazioni su Weibo, spingendo molte altre vittime a raccontare la propria tragica esperienza. Storie di abusi che rivelano il percorso accidentato dell’emancipazione femminile con tutte le sue sfumature. Come sottolinea il Global Times, la tutela dei diritti delle donne risulta particolarmente difficoltosa quando ad essere coinvolte sono le classi sociali più svantaggiate. Educazione sessuale e assistenza legale sono ancora prerogativa di una Cina urbana e benestante. Nelle zone più sottosviluppate del paese, al contempo, l’affidamento attraverso rischiosi canali informali resta una soluzione preferibile per molte famiglie desiderose di assicurare ai propri figli un futuro migliore senza dover ricorrere al farraginoso sistema delle adozioni.