In un paese in cui il tifo organizzato intona negli stadi cori contro il presidente Piñera chiamandolo «assassino come Pinochet», non poteva che scatenare un’ondata di proteste l’omicidio dell’attivista sociale e tifoso della squadra Colo-Colo Jorge Mora, noto come Neko, investito martedì scorso a Santiago da un camion dei carabineros che, riferiscono i testimoni, ha addirittura accelerato in prossimità dei tifosi che uscivano dallo stadio.

DURANTE LE PROTESTE si sono registrati anche attacchi ai commissariati, incendi e saccheggi, con un bilancio di tre vittime: un trentenne morto nell’incendio di un supermercato; il 22enne Sergio Alexander Aburto Fuentes investito, pare incidentalmente, mentre partecipava a una barricata; e il 24enne Ariel Moreno, anche lui tifoso del Colo-Colo (nome di un guerriero mapuche che ha combattuto contro gli spagnoli), deceduto venerdì a causa delle ferite alla testa causate da un proiettile.

«Il calcio non tornerà negli stadi finché non pagheranno gli assassini del popolo e chi li protegge», hanno garantito i tifosi, benché l’agente che ha investito Jorge Mora, Carlos Martínez Ocares, sia stato subito rilasciato, con il solo obbligo della firma settimanale.

A GETTARE ULTERIORE BENZINA sul fuoco c’è stato poi il brutale pestaggio – ripreso da una videocamera di sorveglianza – avvenuto mercoledì scorso ai danni di un diciottenne, Matías Soto Ramos, che protestava contro l’omicidio di Neko nella città di Puente Alto: trascinato al suolo, colpito e preso a calci dagli agenti, che si sono poi allontanati in tutta fretta, il giovane ha riportato la frattura di una costola e diverse altre contusioni, rischiando perforazioni ai polmoni e all’intestino. «Sono dei delinquenti, dei criminali, degli assassini», ha commentato la madre Melissa Ramos.

Il video del pestaggio, diffuso due giorni dopo e diventato virale, ha costretto però i vertici dei carabineros a intervenire, sospendendo i nove agenti responsabili e promettendo «il massimo della fermezza e del rigore»: «Nessun contesto giustifica il fatto di colpire una persona e tanto meno di abbandonarla», hanno dichiarato. Parole, tuttavia, che, a fronte dell’irrecuperabile discredito che ha sommerso i “pacos”, come vengono chiamati popolarmente i carabineros, in nulla contribuiranno a calmare le acque, meno che mai negli stadi.

SE INFATTI IL CAMPIONATO di calcio, malgrado tutto, è ripreso, la situazione resta comunque tesissima. Non a caso, la partita di massima serie tra Coquimbo Unido e Audax Italiano è stata interrotta dopo appena 17 minuti per l’invasione del campo da parte di tifosi della squadra di casa, che hanno srotolato sul terreno di gioco uno striscione con la scritta «Sangue nelle strade, campi senza calcio». Uno slogan diventato, all’interno di stadi ormai pesantemente militarizzati, la comune parola d’ordine dei tifosi. E se le proteste scatenate durante la partita tra Universidad de Chile e Curicó Unido hanno costretto i calciatori a giocare in mezzo ai gas lacrimogeni – mentre l’incontro tra Universidad Católica e O’Higgins è iniziato, sempre a causa dei disordini, con 20 minuti di ritardo – tutto indica che le prossime giornate del campionato non saranno più tranquille.

 

 

A DENUNCIARE «una grave crisi dei diritti umani» in Cile è intanto anche la Commissione interamericana per i diritti umani, che, nelle sue conclusioni preliminari dopo la visita effettuata nel paese tra il 25 e il 31 gennaio, ha raccomandato alle autorità cilene di «indagare e punire i responsabili».
Una raccomandazione destinata, con tutta probabilità, a cadere nel vuoto.