Per quanto riguarda i migranti «la Germania ha cambiato la propria posizione. Per tanti anni siamo stati contrari all’europeizzazione di questo tema, adesso invece vogliamo più collaborazione europea». Sembra un mea culpa quello pronunciato ieri da Angela Merkel. Sembra, perché in realtà dietro le parole della cancelliera tedesca, che parla dal ponte della portaerei Garibaldi con al fianco il premier italiano Matteo Renzi e il presidente francese Francois Hollande e con alle spalle l’isola di Ventotene, c’è solo la rivendicazione delle politiche che l’Europa vuole attuare per arginare i flussi di migranti. A partire dall’accordo con la Turchia, che la cancelliera rivendica nonostante le continue violazioni di diritti umani da parte di Ankara, e che giustifica con la necessità di rendere più sicuri i confini del Vecchio Continente. La neonata (forse) guardia costiera europea da sola «non basta» spiega, giustificando in questo modo la necessità di arrivare a tutti i costi a una ripresa più serena dei colloqui con Ankara.

Temi economici a parte, sui quali ha insistito in modo particolare Renzi, crisi dei migranti e sicurezza dai pericoli del terrorismo jihadista sono stati gli altri due argomenti che hanno tenuto banco al vertice di Ventotene. Sul primo punto c’è poco da dire. I tre leader hanno confermato la necessità di avviare subito accordi con i paesi africani di origine dei migranti per convincerli a una maggiore collaborazione nel fermare le partenze. Si tratta della conferma dei migration compact proposti nella scorsa primavera dall’Italia e fatti propri da Bruxelles, seppure in una versione ridotta rispetto a quella avanzata da Roma. «Se vogliamo essere credibili dobbiamo andare in Africa e intervenire» ribadisce Renzi, che se da una parte rivendica giustamente la scelta di salvare vite in mare dall’altra, aggiunge, «è arrivato il momento in cui noi europei facciamo uno sforza comune. E’ successo con altre rotte (il riferimento è a quella balcanica, chiusa proprio in seguito all’accordo con la Turchia, ndr) deve diventarlo anche per il Mediterraneo centrale». Rotta attraverso la quale «a oggi sono arrivati sulle coste italiane 102 mila migranti, lo scorso anno al 20 agosto erano stati 105 mila».

Intervenire in Africa significa finanziare progetti di sviluppo nei paesi di origine in cambio di controlli più serrati delle frontiere e campi profughi dove fermare i migranti e avviare una selezione di coloro che hano diritto all’asilo. Un progetto sul quale i tre leader sanno di aver la strada spianata persino con gli stati membri più ostici, come i paesi dell’est. Almeno per quanto riguarda la necessità di fermare la massa di disperati che cerca di raggiungere l’Europa. Altro discorso è reperire i finanziamenti necessari a far sì che tutto ciò avvenga. Il progetto prevede infatti uno stanziamento di 3,1 miliardi di euro dal budget europeo più una cifra analoga a carico degli Stati membri. Somma che dovrebbe crescere fino ad arrivare a 60 miliardi di euro grazie all’effetto leva. Viste le difficoltà avute nel finanziare progetti analoghi qualche perplessità c’è.

Ma trovare una soluzione alla crisi dei migranti significa anche dare finalmente il via ai ricollocamenti. Argomento sul quale però la maggior parte degli Stati membri fa orecchie da mercante. A partire proprio dalla Germania della cancelliera. La soluzione proposta un anno fa dalla Commissione Juncker prevedeva la distribuzione tra i 27 di 40 mila migranti in due anni, 24 mila dalla Grecia e 16 mila dall’Italia. I profughi effettivamente ricollocati alla fine di luglio sono stati invece appena mille per le difficoltà create dalle singole capitali, Berlino compresa che fino a oggi ne ha accolti solo 57.

Tutte cose che Renzi, Hollande e Merkel affronteranno nel vertice informale previsto per il 16 settembre a Bratislava. E nel quale, oltre agli scontati temi economici, si parlerà anche di sicurezza. Gli attenti in Germania e Francia hanno spinto ieri i tre leader a chiedere maggiore cooperazione anche su questo delicato terreno. Va detto che fino a oggi, anche dopo gli attacchi di gennaio 2015 a Parigi, gli Stati sono andati ognuno per conto suo, tanto da rendere impossibile la creazione di una procura europea antiterrorismo in grado di garantire una cabina di regina delle indagini e – soprattutto – la possibilità di mettere in comune le informazioni raccolte dai vari servizi. Cosa impossibile fino a oggi per le gelosie nazioni «Dobbiamo condividere di più le informazioni di intelligence. Vogliamo anche maggiore coordinamento, più mezzi e più risorse nel settore della difesa», ha detto ieri Hollande. E d’accordo con lui si sono detti anche Renzi e Merkel. Al di là delle buone intenzioni, va detto però che tutte le decisioni prese ieri e che verranno prese entro la fine dell’anno, per essere attuate dovranno tener conto dei risultati delle elezioni già fissate in Austria (2 ottobre) e in Germania e Francia (2017), nonché del fatto che dei tre leader visti ieri a Ventotene almeno uno, Hollande, tra un anno probabilmente non siederà più all’Eliseo.