La violenza è uno dei temi cinematografici più ricorrenti e, soprattutto, quando si assiste a una serie di proiezioni, come può accadere in un festival, si può intercettare quel termine nelle sue numerose declinazioni. Violenza collettiva o individuale, prodotta da un contesto che condiziona i singoli o alimentata da persone che fomentano intere comunità.

NELLE SEZIONI della Mostra del Cinema, i film proposti hanno ripetutamente messo in guardia lo spettatore dalle derive del mondo contemporaneo, talvolta con fare didascalico, facendo spesso riferimento a un passato e a una sorta di peccato originale, altre volte con intenzioni maggiormente poetiche, lasciando carta bianca all’immaginazione di un pubblico che non deve necessariamente essere condotto per mano nel sentiero degli orrori umani.

Nel concorso di Orizzonti era presente l’indiano Soni dell’esordiente Ivan Ayr. Il titolo fa riferimento al nome di una poliziotta impegnata nel combattere i crimini sessuali commessi nei confronti delle donne. Un lavoro usurante che porta Soni a reagire con violenza contro la profonda ingiustizia che premia i carnefici e colpevolizza le vittime. Il film oscilla tra la denuncia sociale e la storia di un’esistenza che non riesce a collocarsi nel mondo. Nel rapporto con il suo superiore, la sovrintendente Kalpana, Soni trova una complice e, al tempo stesso, uno specchio nel quale si riflettono le sue paure e angosce. Kalpana è riflessiva e intenzionata a seguire le regole. Soni è istintiva e poco disposta a concedersi un singolo respiro. I suoi pugni ben assestati sono fuori legge, ma sembrano l’unico modo per far valere i propri diritti.

FORSE nel racconto di questa apnea della protagonista, il regista manca di coraggio, e si limita a registrare un fenomeno, disinteressandosi dei demoni che agitano la poliziotta. Cos’è la violenza? Il prodotto di una cultura? Una forma dell’umano che si manifesta con le sue diverse maschere? Soni sembra a un certo punto cercarla quella violenza, ma al limite del baratro, la storia trova i titoli di coda, lasciando spazio all’indignazione, nascondendo l’abisso nel quale potremmo prima o poi cadere, trascinati o attratti.