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Harry G. Frankfurt, nel suo pamphlet dal titolo Sulla disuguaglianza (Ugo Guanda, pp. 103, euro 11), riflette sul significato e sulle implicazioni filosofiche dell’egualitarismo. La tesi è semplice: il divario economico tra gli individui si rivela moralmente irrilevante e non tocca il problema di fondo delle comunità civili. L’autore – noto per il bestseller Stronzate. Un saggio filosofico − ritiene che la ricerca ostinata in favore del livellamento tradisca il valore dei singoli talenti. L’invidia sociale è il frutto di una cattiva impostazione che, a suo parere, si estende ogni qualvolta si presti attenzione a un modello oggettivo da conseguire a tutti i costi. L’unico obiettivo realistico – e in parte utopico – è quello di dare sfogo alle intime capacità, esplicitare la nostra essenza e raggiungere un livello «sufficiente» di benessere nel pieno riconoscimento dei nostri limiti.

Per il filosofo statunitense è «alienante» promuovere un impegno etico con metodi giacobini. Non importa se il campione di football guadagni cifre stellari, o se lo stipendio di un manager spregiudicato offenda le ambizioni di un operaio. Il denaro non si riallaccia ai parametri dell’utilità decrescente, in quanto il soddisfacimento di un bene primario o superfluo non attutisce il desiderio di accrescere la nostra ricchezza materiale; perciò frenare questa tentazione è inutile. Conta che ognuno abbia «abbastanza».

Frankfurt contrappone così all’ideale egalitario la «dottrina della sufficienza». Si può essere eguali nella povertà e sprofondare facilmente nella rete della sofferenza, ma anche disporre (tutti insieme) di un reddito cospicuo e persistere nel disagio. Si possono tuttavia istituire politiche redistributive qualora le circostanze dovessero richiederlo. Importante, continua lo studioso, è non trascurare il paradigma della «sufficienza» e capire che la tutela delle peculiarità può costituire l’unica risposta valida entro le maglie del capitalismo.

In questo itinerario, il rispetto è la trama vincente che scardina la retorica e consente di abbracciare le «istanze rilevanti» di ciascuno di noi. L’eguaglianza aritmetica tende a intrappolare le persone in un quadro unico e astratto, mentre l’ideale della «sufficienza» vuole scoprire il nostro potenziale. Il rispetto è il fine etico par excellence: unisce gli umili e i benestanti, gli emarginati e le classi al comando in una dimensione culturale che disprezza l’a priori illuminista e le manovre autoritarie del potere.