È finalmente iniziato a Fort Meade, in Maryland, il processo militare a Bradley Manning, il soldato americano di 25 anni accusato di essere la «talpa» che tra il novembre 2009 e il maggio 2010 ha fornito a Wikileaks centinaia di migliaia di email e documenti «top secret» sulle guerre in Iraq e Afghanistan e del Dipartimento di Stato poi diffusi dal sito di Assange.

Manning è in carcere preventivo, durissimo, dal maggio del 2010. Per lui l’accusa più grave tra le 21 pronunciate in aula è quella di «intelligenza» con il nemico. Un reato rarissimo per il quale è prevista la pena di morte. Anche se il governo ha detto che non chiederà la pena capitale, il soldato (che si è già dichiarato colpevole di alcuni reati minori) rischia da 20 anni all’ergastolo. La procura militare ha detto che dimostrerà come i materiali di Wikileaks siano stati usati da Al Qaeda e reperiti anche nel covo di Bin Landen ad Abottabad (potrebbe testimoniare, in un’udienza secretata, anche uno dei navy seal del raid oltre ad ambasciatori e membri dell’intelligenze).
Il processo solleva però numerosi interrogativi giuridici e politici. Secondo Laurence Tribe, professore di Obama ad Harvard intervistato dal «Guardian», accusare di intelligenza con il nemico un uomo che ha diffuso informazioni su Internet «rompe dei tabù pericolosissimi» per il governo e la libertà di stampa. In teoria, la stessa accusa potrebbe riguardare qualsiasi articolo di giornale sulla sicurezza nazionale. L’amministrazione Obama, inoltre, è già sulla graticola per il giro di vite senza precedenti contro le «talpe». Perfino i telefoni dell’Associated Press e di Fox News sono stati intercettati illegittimamente (almeno stando a quanto emerso finora) dal Dipartimento di Giustizia per alcuni servizi sulla Cia.

Fuori dal tribunale un migliaio di sostenitori del soldato ha manifestato per la sua liberazione.