C’è chi si marchia immagini mitologiche, chi disegni di fantasia, chi nomi di mogli, madri, figli, chi i Teletubbies (De Rossi) e c’è chi evoca Dio (pare che Balotelli si sia tatuato sul pettorale la seguente frase: «Io sono la punizione di Dio. Se non aveste commesso grandi peccati, Dio non avrebbe mandato una punizione come me su di voi»).

Il tatuaggio accomuna calciatori e detenuti. Gli amanti dell’arte del tattoing devono guardare una partita o farsi un giro in galera per vederne di tutti i tipi e di tutti i colori. Se un detenuto si è tatuato il numero 73 sul corpo vorrà dire che è andato a finire dentro per spaccio in quanto il 73 è l’articolo della legge sulle droghe da lui violato. Se un attaccante si tatua il numero 73 vorrà dire che il suo primo gol importante lo ha segnato al 73mo minuto, se è un difensore vorrà dire probabilmente che ha esordito al minuto 73. Capita nelle carceri che, pur di tatuarsi, i detenuti usino mezzi di fortuna e non sterili, rischiosissimi per la salute. Non sarebbe male far entrare una volta al mese in ogni carcere un tatuatore professionista. Diminuirebbero notevolmente i pericoli di contrarre epatiti o malattie infettive.

Marco Materazzi, protagonista assoluto della finale vinta con la Francia nel 2006, nella quale segnò due goal (uno su rigore dopo i tempi supplementari) e provocò l’espulsione di Zidane autore di uno dei più famosi colpi di testa della storia dei Campionati del Mondo, pare abbia sul proprio corpo impressi circa venticinque tatuaggi. Quasi un record. Materazzi non c’è mai stato in galera, ce lo voleva però mandare Blatter, il boss indiscusso della Fifa. Nel settembre del 2006 annunciò che la pace tra Materazzi e Zidane si sarebbe fatta nella prigione di Robben Island in Sudafrica dove era stato recluso per tanti anni Nelson Mandela.

Breno, invece, seppur a prima vista non tatuato, in carcere c’è stato eccome. Il fortissimo difensore brasiliano se non avesse avuto la disavventura giudiziaria forse ora starebbe giocando il Mondiale nella difesa carioca insieme al grande Thiago Silva. Nel 2008 aveva vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino. Nel settembre del 2011 fu arrestato e nel luglio del 2012 venne condannato per incendio doloso. Pare dette fuoco alla sua villa. Di carcere vero e proprio se ne fece però poco più di un anno rispetto ai quasi quattro previsti. Fortunatamente anche in Germania, paese non accusabile di lassismo giudiziario, la pena è flessibile. Prima dell’arresto giocava nel Bayern Monaco; venne imprigionato nel carcere di Stadelheim. Mentre era in galera, lui che avrebbe dovuto andare alla Lazio, venne acquistato dal San Paolo. Non ha mai raccontato come si svolgesse la sua vita durante l’anno di detenzione. Sicuramente ha avuto modo di allenarsi, altrimenti dubito che il San Paolo lo avrebbe acquistato. Umanità del sistema penitenziario tedesco? Più probabilmente occasione in più per chi non proviene del mondo dei reietti. Neanche il carcere riesce a essere a livella.