Condannato, decaduto, interdetto e affidato ai servizi sociali, però non arreso. Il campione della propaganda la partita vuol giocarla sul serio, per ribaltare ancora una volta i pronostici. Come nel 2006. Come nel 2013. Ma per fare una campagna elettorale ci vogliono dei nemici: nessuno lo sa meglio di Silvio Berlusconi, che su questo principio elementare ci campa elettoralmente da vent’anni.

I nemici sono e sempre più saranno fino al 25 maggio tre: i tedeschi, unici colpevoli della degenerazione dell’euro, i giudici, perché quel bersaglio non può essere lasciato da parte e poco male se il Tribunale di sorveglianza si risente, e soprattutto Giorgio Napolitano. Non ci si può scagliare contro il simpatico alleato con cui si stanno abborracciando le riforme. Un ragazzo a posto quel Matteo, «io lo avrei preso in Forza Italia», peccato che abbia nelle ali il piombo comunista del suo partito e del maledetto sindacato: «Jobs Act? E’ diventato Cgil Act». Con Napolitano è tutta un’altra musica. Quello sì che è il nemico ideale, soprattutto ora che va a picco negli indici di popolarità.
Ieri, di fronte alle telecamere di Piazza Pulita, il Furioso non è arretrato di un millimetro. Anzi, ha rincarato. Segno evidente che le sue sparate tutto sono tranne che gaffes. Rispondono al contrario a una strategia precisa e ben studiata, messa a punto da uno che di propaganda se ne intende come nessun altro nel circo della politica italiana.

Anche ieri l’ex cavaliere ha preso di mira di brutta il capo dello Stato. L’addebito è pesantissimo: «Nel 2010 si fece parte attiva perché Fini spostasse una parte dei suoi parlamentari a sinistra per dar vita a un governo di cui avrebbe avuto l’incarico». Accuse sparate a casaccio? «No. Ci sono testimoni e prove insuperabili. Non sono autorizzato a fare nomi, ma se necessario si faranno».

Stavolta, però, l’Interdetto aggiunge un nuovo carico esplosivo. Il “golpista” aveva «il dovere morale di graziarmi, motu proprio, senza alcuna richiesta». Oddio, e perché mai? Ovvio, perché «la sentenza non era solo mostruosa ma anche ridicola, frutto di una costruzione assolutamente inaccettabile».
E’ una sfida aperta rivolta ai giudici che gli avevano proibito di criticarli con toni calunniosi ma soprattutto al capo dello Stato. Quelle del leader azzurro sono parole calibrate. Vuole che Napolitano gli risponda, ufficializzando così un duello, un confronto a due, in cui il presidente della repubblica ha tutto da perdere e lui, politicamente, tutto da guadagnare. Non sarà accontentato. Il Quirinale non ha alcun motivo per farsi trascinare in una polemica devastante, che regalerebbe solo popolarità al condannato di Arcore.

Il gioco ha invece funzionato perfettamente con la Germania. Anche in quel caso Silvio Berlusconi non chiedeva altro che una replica alla sua intemerata. Cosa di meglio per affermarsi come campione degli interessi italiani contrapposti all’avidità imperiale dei tedeschi? «Non devo scuse ai tedeschi, mi dispiace se hanno interpretato male le mie parole. E’ il solito Schultz che vive di luce riflessa».

Quando il re deposto parla di Germania, sullo sfondo s’intravede la genovesissima sagoma di Beppe Grillo. Berlusconi ha deciso a tavolino di non prenderlo direttamente di mira. Da una rissa verbale con il vulcanico comico sarebbe lui ad avere tutto da perdere. Si tratta invece di farlo apparire come un distruttore nemico dell’Europa, e di accreditare per se stesso l’immagine di chi invece difende l’Europa prima di tutto dagli imperialisti che ne hanno fatto terra di conquista, lucrando così sia su chi l’idea dell’euro vuole tenersela stretta sia su chi ne detesta la conduzione austero-germanica.

Il piazzista pubblico numero 1 andrà avanti così per settimane, occupando militarmente il video. Domenica prossima dovrebbe trovarsi faccia a faccia con Lucia Annunziata, prima o poi arriverà anche il turno di Santoro e Travaglio: la sfida garantisce una preziosa audience. La decisioni vere arriveranno solo dopo il voto, ed è lui stesso a lasciarlo capire. Al conduttore Corrado Formigli che gli chiede se un eventuale terzo posto comporterebbe l’abbandono dell’Italicum risponde con diplomatica prudenza: «E’ un ragionamento concreto. Ma sono certo che riusciremo a rimontare».