Nel suo nuovo film – Gli indesiderati d’Europa. I sentieri di Walter Benjamin, nelle sale italiane da ieri distribuito da Boudu Passepartout in collaborazione con Zomia, il regista Fabrizio Ferraro mette in scena il cammino.

Il cammino o il camminare è cosa estremamente comune e triviale. Tutti gli umani camminano. Eppure, nell’atto c’è di più del semplice muoversi. Esso è orientato e diretto verso un luogo.

Più di ogni altra attività, il cammino mostra come l’uomo sia animato da uno scopo ma anche come il suo agire possa esser mosso dal non desiderare nulla: è il muoversi in tondo o il vagare senza meta proprio del flâneur. In altre parole, pensare il cammino vuol dire rivolgere lo sguardo allo spirito umano.

Ora, il film incrocia due modalità.

La prima è quella di un gruppo di anonimi sconfitti che si lasciano alle spalle la Spagna di Franco, il secondo segue lo stesso tracciato ma in senso inverso.

Si tratta dell’ultimo cammino del filosofo tedesco Walter Benjamin, del quale Ferraro racconta la fuga verso Lisbona che un insieme di circostanze interrompe sui Pirenei.

Impossibile non pensare al celebre adagio di Pascal sulla relatività della legge: plaisante justice qu’une rivière borne! Vérité audeçà des Pyrénées, erreur audelà (buffa giustizia che un semplice fiume divide ! Verità da una parte dei Pirenei, errore dall’altra). Massima alla quale il film di Ferraro aggiunge una riflessione ancora più amara, assai attuale: quello che ieri era desiderato, diventa oggi indesiderato o illegale.

La domanda che il film pone, esplicitamente, in uno dei passaggi che punteggiano il cammino del filosofo, è quella di sapere se nel proprio avanzare l’uomo ha coscienza della storia che fa. Oppure se la storia resta per lui un’accadere esterno, come un paesaggio che si osserva e dal quale ci si allontana contemplandolo dal proprio presente.

A questa domanda Ferraro non apporta una luce – se non quella accecante del fuoco, che invece di illuminare rende l’immagine oscura.

Effetto fotografico – Straub disse, a proposito di Sicilia!: «non c’è niente di più difficile che filmare un fuoco». Ma anche prova di puro materialismo: come quell’intuizione benjaminiana, che Adorno trovava volgare, che la tassa sul vino determina i versi di Baudelaire, Ferraro invita a vedere nel fuoco che scalda la notte dei migranti (e che Sylvain Georges ha tante volte filmato a Calais) la questione in generale dei Lumi, ovvero di quel pensiero razionalistico che l’Europa rivendica come propria identità culturale. Questo pensiero luminoso è solo contraddetto dalle politiche attuali? Oppure è all’origine dell’oscurantismo presente? Nel camminare c’è un altro concetto di storia, che non cerca le cause degli eventi ma si rivolge, alla maniera dei fenomenologi, alla cosa stessa: all’evento.

È noto che Benjamin avesse sviluppato un’idea molto particolare della storia, descritta attraverso un quadro di Paul Klee: l’Angelus Novus. «Il suo volto – dice Benjamin – è rivolto verso il passato. Là dove a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi». N

el finale del film, Ferraro sembra rimettere in scena quest’immagine – una brezza sospinge il filosofo verso il bosco. La cosa importante è ovviamente quel «a noi».

Il nostro punto di vista che ci appare razionale mentre è parziale. Il cumulo di macerie sembra sempre dietro di noi, mentre è invece sempre con noi. Camminare vorrebbe dire invertire lo sguardo. Essere capaci di fare questa fatica del pensiero per la quale non esistono regole certe.

Gli indesiderati ci invita a metterci in cammino, a redimere gli orrori presenti intorno a noi, come Cédric Herrou o come i militanti no-tav che, intervenendo il 22 aprile scorso sul confine italofrancese, hanno salvato la dignità che l’Europa sembra avere completamente perduto.