La California è culla del movimento conservazionista da quando 150 anni fa Abraham Lincoln decretò l’istituzione del primo parco nazionale a Yosemite.

La protezione dell’area naturale avvenne grazie alle esortazioni di John Muir, un naturalista scozzese diventato avido escursionista, filosofo e conservazionista in California dove condusse con successo la campagna per salvare Yosemite fondando successivamente il Sierra Club prima associazione che segnava la nascita dell’ambientalismo come importante movimento culturale.

Dal lavoro californiano di Muir discende il moderno movimento ecologico che si evolverà fino alla moderna militanza di Greenpeace e agli eco-guastatori di Earth First e le loro azioni contro le dighe e a favore delle antiche foreste dell’Ovest americano.

La prima mobilitazione della giornata della terra avviene in gran parte attorno ad una perdita di petrolio da una piattaforma nella baia di Santa Barbara.

La California ha in seguito tradotto 50 anni di istanze verdi in molte normative ambientali e politiche energetiche all’avanguardia che oggi mettono lo stato in antitetica controtendenza rispetto alla rottamazione ambientale nel programma del governo Trump.

In materia di normative ambientali la California ha un peso specifico fuori misura, non solo come laboratorio di innovazione tecnologica, ma soprattutto in virtù dei 40 milioni di abitanti che ne fanno il maggiore mercato automobilistico.

Ragione per cui Detroit da sempre si adatta alle regole imposte dallo stato che finiscono così di fatto per diventare legge nazionale. E in virtù anche del famigerato smog che affligge soprattutto il popoloso sud dello stato, l’impegno per ripulire l’aria qui ha radici storiche e bipartisan. Fu addirittura Ronald Ronald, non proprio un estremista di sinistra, ad istituire negli anni ‘60, da governatore dello stato, l’ente per il monitoraggio dell’aria. Quell’organo (il California air resources board) gode di forte autonomia ed ha l’obiettivo dichiarato di ridurre l’inquinamento fino al 40% sotto i livelli del 1990 entro il 2030.

Con questo mandato l’ente ha autonomamente stabilito normative anti inquinamento più severe di quelle imposte a Washington dall’Epa (Environmental protection agency). Mentre le lobby delle case automobilistiche premono su Washington per un allentamento delle regole, l’interlocutore effettivo dei costruttori da anni è Sacramento e Detroit ha di fatto dovuto adottare il livelli di efficenza richiesti dalla California.

In 40 anni le auto americane sono così passate dai consumi antidiluviani dei 5 km/litro del 1975 agli attuali 16 km/litro. Il prossimo obbiettivo stabilito dalla California è di 25km/litro entro il 2030.In anni recenti l’Air Resources Board ha anche imposto l’obbligo di commercializzare una percentuale di veicoli ad emissione zero incentivando il maggiore mercato mondiale per le auto elettriche.

È la regola che ha notoriamente obbligato ad esempio la Fiat Chrysler a produrre 500E per il mercato californiano con grande insoddisfazione di Sergio Marchionne, che non perde occasione per lamentare l’imposizione che, a suo dire, costerebbe all’azienda 20 mila dollari di perdita su ogni vettura venduta (l’Ad Fiat è giunto ad esortare apertamente i californiani a non acquistare le sue auto elettriche).

Tuttavia, malgrado le rimostranze, la Fiat Chrysler come tutti gli altri marchi mondiali ha impostato le proprie strategie di produzione attorno alle vetture alternative, principalmente ibride ed elettriche. Un test sull’efficacia delle norme ambientali e in gran parte sull’influenza della California nel plasmare lo sviluppo tecnologico (molto del quale ancorato proprio qui – dalle fabbriche Tesla alle auto autonome testate da Google).

LA PARABOLA VIRTUOSA degli ultimi quarant’anni potrebbe non avere un happy ending o almeno subire una brusca battuta d’arresto, ora che la Casa bianca è occupata da un’amministrazione negazionista che definisce il mutamento climatico una «truffa cinese« e sta procedendo alla rottamazione metodica dell’apparato nazionale di protezione ambientale.

Una delle nomine più paradossali di Trump è stata quella di Scott Pruitt, un avvocato che ha passato un decennio a rappresentare l’industria petrolifera in querele contro lo stesso dicastero che ora dirige, come capo dell’Epa (Environmental protection agency) il mese scorse Pruitt Book ha vietato agli scienziati di partecipare a comitati, citando conflitti di interesse e l’importanza di «ampliare il dibattito». L’idea che la scienza sia una semplice fazione è promulgata dagli integralisti reazionari che da anni chiedono ad esempio par condicio per l’insegnamento del creazionismo nelle scuole. Con in mano le chiavi del comando hanno ora gli strumenti per implementare il fondamentalismo antiscientifico.

Un’altra conferma è stata la nomina a «top scientist» dell’Usda, massimo organo regolatore sull’alimentazione, di Sam Clovis, un amministratore senza titolo scientifico e consulente della campagna Trump, contro il quale sono insorti oltre tremila scienziati, che hanno firmato una petizione contro di lui.

La nuova Epa di Pruitt ha anche annunciato la fine dei limiti alle emissioni industriali varate da Obama per mettersi in linea con gli accordi Parigi. Nell’anno dei mega uragani e delle devastanti tempeste di fuoco, gli scienziati dell’Epa hanno ricevuto la direttiva di non utilizzare il termine «climatico» sui siti e sostituire «riscaldamento atmosferico» con «meteorologia estrema» sulle pubblicazioni ufficiali.

PER REGOLARE L’AMBIENTE Trump si è circondato di rappresentanti dell’industria degli idrocarburi e del carbone. A maggio ha tenuto fede alla promessa elettorale abbandonando il trattato di Parigi. Il ministero degli interni, con enorme potere sulla destinazione delle terre demaniali è stato affidato a Ryan Zinke, repubblicano del Montana, già amministratore di una azienda di oleodotti, la QS Energy.

Non sorprende che il suo dipartimento abbia iniziato una epurazione di scienziati dell’ambiente dal proprio organico. A luglio Joel Clement, studioso degli effetti del mutamento climatco sulle comunità indigene dell’Alaska, è stato trasferito improvvisamente all’ufficio contabilità.

A luglio la dottoressa Virginia Burkett, che per il suo lavoro sul clima alL’Usgs (US Geological Survey) è stata insignita del Nobel per la pace, è stata bruscamente trasferita per mansioni d’ufficio a Washington. Due settimane fa Pruitt ha vietato agli esperti dell’Epa di partecipare a una conferenza sul clima a Rhode Island. Si tratta di fatto di una restaurazione coordinata con i grandi interessi industriali, che mira a disfare mezzo secolo di progresso ambientalista.

Visti dalla California sono sviluppi inquietanti, anche perché la tradizione ambientalista locale è più che mai viva con l’attuale governatore Jerry Brown, il gesuita formatosi politicamente nella contestazione alla guerra del Vietnam e militante ecologico sin dagli anni 70. Brown inveisce da mesi contro la follia revisionista di Trump: «La posizione anti-scienza ed anti-realtà» del presidente, secondo Brown, è intollerabile. «La California farà tutto ciò che è in suo potere per mantenere la rotta e incrementare il progresso (ambientale) in ogni stato, provincia e paese», ha detto.

Col congresso blindato almeno fino a fine 2018, l’opposizione dovrà avvenire a livello di amministrazioni locali e nei tribunali. Per organizzarla è stato nominato attorney general della California Xavier Becerra, agguerrito riformatore sociale di un distretto ispanico di Los Angeles.

Per rinforzo è stato ingaggiato come consulente legale Eric Holder, ex ministro di giustizia di Obama. Ad agosto Becerra ha sporto querela alla corte federale contro Pruitt, chiedendo la pubblicazione degli atti che legano il presunto difensore dell’ambiente all’industria pertrolifera per dimostrare il suo conflitto di interesse.

LA POSTA È ALTA. Come contromossa le forze di Trump minacciano di revocare alla California il waiver, il permesso di stabilire autonomamente le norme sulla qualità atmosferica riportandole a un’unica giurisdizione federale.

Sarebbe un colpo micidiale per lo stato, che si troverebbe impossibilitato a proteggere la propria aria e imporre limiti di efficenza ai costruttori automobilistici. La querelle ha visto schierarsi anche Arnold Schwarzenegger, altro ex governatore decorato sul campo come paladino ambientale quando nel 2006 ha sponsorizzato la “AB32”, legge che fece allora della California un’antesignana della lotta al mutamento climatico.

«Quando (Trump) parla di ritorno al carbone sono sciocchezze», ha dichiarato Schwarzi. «Non si può tornare indietro, dobbiamo andare avanti e possiamo farcela. La California è la sesta economia mondiale pur essendo del 40% più efficiente nei consumi del resto degli Usa».

Dalla resistenza californiana nei prossimi anni dipenderanno in gran parte le sorti della strategia ambientalista globale in un momento sempre più planetariamente critico.