È caos calabro. A soli 30 giorni dalla presentazione delle liste elettorali, tutti fermi al palo. E la soluzione ai tanti rebus non è proprio dietro l’angolo. Ad oggi ci sono tre certezze. Il presidente uscente Mario Oliverio si ricandida. La macchina organizzativa di Gigi Incarnato è già in moto da un pezzo. Il segretario nazionale organizzativo del Psi, factotum del governatore Oliverio, ha raccolto una mezza dozzina di liste. I manifesti sono già belli e pronti. E con essi una robusta scissione dentro i dem. La federazione cosentina, la più grande, seguirà il presidente insieme a decine di sindaci. Mentre gli altri giocano a risiko, Oliverio è iperattivo: va dai forestali a promettere fondi, si presenta in ospedale per vaccinarsi contro l’ influenza, si traveste da capostazione per inaugurare il treno ad alta velocità Sibari-Bolzano. Insomma, lui va come un treno mentre gli altri son fermi ai binari.

Anche quella destra che qui vincerebbe a mani basse, la seconda certezza. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché ci vuole un candidato per vincere, non bastano i sondaggi. E quel che è una tautologia, a queste latitudini può capovolgere il risultato. La nomination spetterebbe a Forza Italia ma la golden share è in mano a Salvini. Deve essere un candidato azzurro ma gradito al capo del Carroccio. Sul sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto c’è il suo veto per interposta famiglia: i Gentile, dinastia politica bruzia che dopo i socialisti e Fi ora vedono nella Lega il loro prossimo approdo. E a chi gli propone l’altro Occhiuto, Roberto, vicepresidente dei deputati berlusconiani, Salvini risponde con un profilo «civico» di superamento: Caterina Chiaravalloti, presidente del tribunale di Latina, figlia di quel Giuseppe, anch’egli magistrato e presidente di regione in quota Forza Italia dal 2000 al 2006, che tanti danni ha fatto durante il suo governo regionale.

La terza certezza è che il Pd qui le ha sbagliate tutte, ma proprio tutte. Avrebbe potuto ricandidare Oliverio, di cui ha condiviso tutte le (ingloriose) scelte politiche, e acconciarsi a una onorevole sconfitta. Invece, in estate gli ha dato il benservito, ha balcanizzato il partito e ha dato la stura ad una guerra per bande, prima latente ora dichiarata. La parola magica per uscire dall’angolo i dem l’avevano pure trovata. Ma era abusata: società civile. E così uno dopo l’altro sono stati abbattuti come birilli i candidati cosiddetti «civici»: Pippo Callipo, Florindo Rubbettino e stessa sorte dovrebbe capitare a quello ancora in piedi: Maurizio Talarico, il mister cravatta che credeva di avere il via libera per aver insegnato al premier Giuseppe Conte, suo cliente, a metter la pochette. Ma che si è scontrato nella diffidenza del segretario Zingaretti.

E poi c’è l’incertezza. Quella è sovrana nei grillini di Calabria. Forti nel voto d’opinione, disastrosi in quello amministrativo. Alle regionali 2104 presero il 4%, molto sotto il maxiquorum dell’8%, non siedono in nessun consiglio comunale e a Lamezia 15 giorni fa hanno preso il 2%. Il rischio flop è concreto. Solo che ora il voto calabro è legato a doppio filo al destino del governo nazionale e a quello personale di Luigi Di Maio. Che in Calabria non si fa vedere da un pezzo. L’altro giorno lo aspettavano per una conferenza stampa. Ma «piove e non viene» hanno detto da Roma. Nessuno ci ha creduto. Il totonomi impazza.

L’economista Francesco Aiello pareva favorito: aveva ricevuto il placet della deputazione romana. Ma non di tutti. Ieri Di Maio ha smentito un accordo con il Pd su Callipo. E ora in casa grillina c’è chi propone una figura antimafia come Pino Masciari, imprenditore e testimone di giustizia. Oppure chi chiede di sostenere il geologo Carlo Tansi. E’ l’unico già in lizza da due mesi. Ha riunito tre liste e ora dialoga con Rifondazione. Ma se alla fine della fiera tra i 5 Stelle prevalesse l’anima dialogante con il Pd, le carte si rimescolerebbero ancora. Mentre il conto alla rovescia verso il 26 gennaio continua inesorabile.