In queste ore in Burkina Faso sono in corso le negoziazioni fra esercito, partiti di opposizioni e autorità religiose per definire come gestire in maniera condivisa la fase transitoria che dovrebbe portare, nel giro di tre mesi al massimo, a libere elezioni. Se in un primo momento sembrava che l’esercito volesse proporsi come unico attore protagonista della transizione, si è subito capito che non sarebbe stato possibile.

Quello che è certo è che il popolo burkinabé ha vinto la sua battaglia: Blaise Compaoré è stato cacciato e la modifica dell’articolo 37 della Costituzione è ormai un brutto ricordo. «Blaise voleva rubarci altri quindici anni ma stavolta gli è andata male, siamo noi che abbiamo rubato a lui un anno!», commentano sarcasticamente i manifestanti in piazza, riferendosi al fatto che il mandato presidenziale sarebbe scaduto fra un anno. Se la modifica della Costituzione fosse passata, non essendo la legge retroattiva Compaoré avrebbe potuto ripresentarsi alle prossime tre tornate elettorali. Considerando che il suo potere perdura da 27 anni, da quel 15 ottobre 1987 in cui il suo vecchio amico e compagno Thomas Sankara fu tradito e assassinato da un golpe, questo avrebbe significato un solo uomo al comando per oltre quarant’anni di fila.

corteo di protesta a Bobo (foto Velio Coviello)
Corteo di protesta a Bobo (,[object Object],)

A Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina, incontro i militanti di Balai Citoyen, una delle principali organizzazioni della società civile che ha guidato la rivoluzione. Sono in presidio di fronte al palazzo del comune, uno dei tanti simboli del potere saccheggiati e dati alle fiamme nella giornata del 30 ottobre. Il sindaco della città era un pezzo grosso del partito dell’ex-presidente, il Congrès pour la démocratie et le progrés (Cdp). Quando chiedo di parlare con qualcuno dell’organizzazione rispondono sorridenti ma decisi: «Qui non ci sono capi, siamo tutti compagni». Per questo preferiscono parlare semplicemente come «compagni della sezione del Balai di Bobo», per evitare «sovraesposizione di singoli».

Lo zoccolo duro della sezione è composto da giovani militanti che in molti casi provengono dai movimenti studenteschi. I «Cibals», come vengono chiamati informalmente da tutti, rivendicano la vittoria del popolo burkinabé e dicono che ora che il tiranno è stato cacciato finalmente si può riprendere a immaginare un avvenire democratico per il Burkina Faso. Preferirebbero una transizione interamente gestita dalla società civile, ma sostengono che si debba prendere in conto la realtà del paese, dove l’esercito ha un peso rilevante. «Noi non ci fidiamo di nessuno ma siamo tranquilli, se quelli che guideranno la transizione non rispetteranno la volontà del popolo cacceremo anche loro». Spiegano che sicuramente le avanguardie di lotta cittadine come la loro hanno avuto un ruolo fondamentale in questa settimana, «ma tanti compagni sono affluiti a Ouaga e a Bobo dalle campagne nei momenti più importanti». Le radio rurali hanno avuto un ruolo fondamentale, diffondendo in tempo reale le informazioni nelle campagne: tutti oggi in Burkina sono a conoscenza di come evolve la situazione.

Riguardo alle accuse di aver svenduto la rivoluzione ai militari, i Cibals rispondono così: «Se avessimo voluto farlo ci saremmo rivolti a Blaise e ai suoi amici che hanno sicuramente più soldi dei militari». Tutti confermano l’importanza di coinvolgere l’esercito nella transizione, in quanto è l’unica istituzione in grado di assicurare la sicurezza nel paese.

Ci sono stati vari episodi di saccheggio indiscriminato nei giorni scorsi, per fortuna marginali, e nessuno vuole fornire giustificazioni per un’eventuale repressione. Assicurano però che loro continueranno a restare in piazza e a vigilare per assicurare una transizione breve, democratica e pacifica. «Pensiamo anche che questo sia il momento buono per rivedere la Costituzione e faremo di tutto per appoggiare delle riforme che vadano incontro alla volontà del popolo burkinabé». Sono tre i punti su cui insistono: sancire non la non modificabilità dell’articolo 37; abolire definitivamente il senato (l’istituzione del senato era l’altra proposta molto contestata dell’ultimo anno di presidenza Compaoré, ndr); limitare i poteri del presidente rendendo più effettivi gli equilibri interni fra le varie istituzioni democratiche.

Prima di salutarli, chiedo loro se a transizione finita pensano di partecipare alle prossime elezioni. «Balai Citoyen non si presenterà – assicurano -, anche formalmente il nostro statuto non lo consente: siamo una realtà di movimento e ci siamo dati un ruolo di controllo sulla politica. Se qualcuno di noi vuole entrare in politica e candidarsi non potrà farlo con il cappello del Balai, ma è liberissimo di uscire dalla nostra organizzazione ed entrare in un partito».