Più di un milione e 100mila contagiati e oltre 51mila morti: i numeri dell’epidemia di Covid-19 in Brasile fanno paura, ma potrebbero essere di gran lunga peggiori.

È questo il timore del capo del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms Michael Ryan, secondo il quale, a causa del «numero relativamente basso di tamponi» (2 milioni e mezzo, contro, per esempio, i 29 degli Usa e i 17 della Russia), le cifre ufficiali potrebbero essere pesantemente sottostimate.

A CONFERMARLO sembrerebbero anche i dati preliminari di uno studio sierologico condotto nella città di São Paulo, in base a cui, a fronte dei 120mila casi di contagio confermati, le persone positive al Covid-19 potrebbero essere in realtà un milione e 200mila.
Neppure dinanzi a tali numeri, tuttavia, Jair Bolsonaro sembra avere ripensamenti. Incrollabilmente fedele alla linea della gripezinha, la «febbriciattola», il presidente ha anzi affermato che c’è stata «un po’ di esagerazione» nelle misure di contrasto alla pandemia, esortando per l’ennesima volta governatori e sindaci a riaprire le attività commerciali.

E quale disgrazia sia toccata al Brasile, costretto a far fronte alla pandemia senza una guida degna di questo nome, lo indica bene anche la decisione adottata dalla Giustizia federale che, unico caso in tutto il mondo, ha dovuto imporre al presidente l’obbligatorietà dell’uso della mascherina nel Distretto Federale, dove Bolsonaro se ne è andato spesso in giro senza protezione stringendo mani, facendo selfie e prendendo in braccio bambini. Se continuerà a farlo, dovrà d’ora in poi pagare una multa di 2mila reais al giorno.

DEL RESTO, tra le preoccupazioni di Bolsonaro, il Covid-19 non si trova certo al primo posto. Tra i procedimenti giudiziari aperti nei suoi confronti, le richieste sempre più incalzanti di impeachment e le prese di distanza di molti suoi ex alleati, il presidente sente il cerchio stringersi sempre più attorno a lui. E ad assestargli un altro colpo micidiale è stato l’arresto di Fabrício Queiroz, ex autista e capo della sicurezza di suo figlio Flávio, che si era nascosto in un immobile del suo avvocato, Frederick Wassef, ad Atibaia. Benché Wassef, tra una contraddizione e l’altra, si sia affrettato ad assicurare che né Flávio né il presidente sapessero dove fosse finito l’uomo chiave dello schema di corruzione in cui è coinvolto il primogenito del clan – l’uomo che addirittura gli pagava le spese, e pure in contanti – sarebbe difficile trovare in Brasile qualcuno disposto a credergli.

MA A GETTARE ulteriore discredito sul governo è stata anche la fuga negli Stati uniti dell’ex ministro dell’Educazione Abraham Weintraub, il quale, coinvolto sia nell’inchiesta sulle fake news che in quella sugli attacchi alle istituzioni, ha pensato bene di lasciare il paese.

Una fuga, quella del ministro più disastroso del governo Bolsonaro, che è stata facilitata dallo stesso presidente, il quale ha di proposito tardato ad annunciare le sue dimissioni per consentirgli di utilizzare il passaporto diplomatico.