In mezzo alla marea di studenti e lavoratori riversatisi per le strade di Rio de Janeiro per protestare contro le esorbitanti spese affrontate dal Governo federale per organizzare la Confederations Cup e i Mondiali del prossimo anno, c’era anche Palmeira Barros Leiva, una pensionata di 82 anni che non ha avuto paura a sfidare la polizia in assetto antisommossa. Con la mano destra si reggeva a un bastone, mentre con la sinistra sosteneva un cartello scritto a mano: “Sono sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale e alla feroce repressione della dittatura. Credetemi, se oggi sono qui a manifestare non è semplicemente per un aumento di 20 centesimi dei trasporti pubblici”. Ciò che ha spinto Palmeira a marciare per le vie del centro carioca insieme ad altre 100 mila persone, mentre la Policia Militar scagliava contro i manifestanti gas lacrimogeni e proiettili di gomma ad altezza uomo, è stata l’indignazione per gli oltre 30 miliardi di dollari – secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero dello Sport – già spesi dal Governo di Brasilia per stadi e infrastrutture turistiche. Soldi che invece secondo la diffusa opinione della gente scesa in strada, avrebbero dovuto essere impiegati per migliorare un sistema sanitario in ginocchio, per risollevare un sistema educativo disastrato e, in definitiva, per togliere dalla miseria gran parte di quell’80% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, mentre la forbice sociale si allarga giorno dopo giorno.

  Dopo il primo giorno di manifestazioni, la presidente Dilma Roussef ha dichiarato che quella esplosa è solo “una protesta studentesca”. Ma la presenza in prima linea di migliaia di lavoratori, studenti e di gente comune come Palmeira  ha dimostrato che si tratta di una chiave di lettura riduttiva, che sottovaluta i rischi di una vera e propria rivolta generale, come testimoniano le immagini che stanno facendo il giro del mondo.

A confermarlo, l’escalation di proteste in tutto il paese, da San Paolo a Recife, da Belo Horizonte a Niteroi, sobborgo di Rio, e in quasi tutte le sedi della Confederations Cup. Le strade di Rio de Janeiro sono state invase ieri da quasi un milione di persone, mentre allo stadio Maracanà si disputava l’incontro tra Spagna e Tahiti sullo sfondo di una città militarizzata, ma la rabbia della gente è esplosa ovunque.

L’aumento di 20 centesimi dei trasporti pubblici, in realtà, è stato solo un pretesto, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha scatenato un’ondata di proteste che minaccia di montare ulteriormente. Difatti, il passo indietro dei governi locali, che hanno annunciato la revoca degli aumenti per autobus, treni e metro, non è servito a calmare le acque. Scene di guerriglia urbana si sono verificate in 80 città, dal nord al sud del Paese, mentre in televisione scorrevano immagini di saccheggi, feriti e contusi, mostrando la polizia che caricava i dimostranti o sparava lacrimogeni e pallottole di gomma. I manifestanti ancora ieri a Rio de Janeiro gridavano compatti: “Questo è solo l’inizio, non ce ne facciamo niente dei 20 centesimi in meno per i trasporti pubblici, pretendiamo sanità ed educazione, ecco perché le proteste continueranno. Il Brasile – urlava un manifestante con il volto insanguinato – non può continuare a vivere nella diseguaglianza tra pochissimi ricchi e tanti milioni di poveri, costretti a rubare o a commettere altri reati per sopravvivere”.

 Nel frattempo, la violenta repressione della polizia ha esacerbato gli animi. La reazione delle forze dell’ordine è stata “vergognosa”, ha sentenziato la stampa brasiliana, sostenendo che “gli sporadici e isolati atti di vandalismo verificatisi a San Paolo e Rio de Janeiro non giustificano i barbari metodi della Policia Militar”, testimoniati dai fori di proiettili sulle pareti degli edifici di Avenida Rio Branco, cuore della capitale carioca.

 Dalla parte della popolazione anche numerosi campioni del futebol verdeoro come Romario, oggi deputato federale per il partito socialista (Psb) e Rivaldo, secondo cui “sarebbe meglio che il Brasile rinunciasse a ospitare i Mondiali. Ci sono cose ben più importanti del calcio, come la costruzione di scuole e ospedali: mio padre è morto dopo un incidente stradale perché in ospedale non c’era posto”. Voce fuori dal coro, invece, quella di Ronaldo, investito da una pioggia di critiche per aver incautamente dichiarato che “i Mondiali non si organizzano con gli ospedali”.

Il calcio giocato, i due successi della Seleçao contro Giappone e Messico nella prima fase di questa Confederations Cup e i gol di Neymar, l’idolo di casa, sono passati decisamente in secondo piano, perché, nella patria del calcio, il pallone ha fatto esplodere le contraddizioni e le storture di una società dove l’assunto “calcio, oppio del popolo” decisamente non funziona più.