Già epicentro della pandemia mondiale, il Brasile rischia ora di compromettere l’intera lotta della comunità internazionale contro il Covid.

Con una campagna di vaccinazione che procede a rilento, poche e limitate misure di restrizione alla circolazione e una rapida diffusione di varianti, «è come un reattore nucleare che ha innescato una reazione a catena ed è ormai fuori controllo. È una Fukushima biologica».

È questo l’allarme lanciato dal neuroscienziato di fama mondiale Miguel Nicolelis, ex coordinatore della Commissione scientifica contro la pandemia degli stati del Nordest: «Il Brasile – ha dichiarato alla Reuters – è una bomba a orologeria, con 100mila casi al giorno e un’esplosione di mutazioni», con conseguente rischio di nuove varianti ancora più letali.

Superato martedì il muro dei 4mila decessi in un solo giorno (4.195) – ma il timore è che si oltrepassi a breve la soglia delle 5mila vittime – Bolsonaro continua a ignorare l’unica via per rallentare la diffusione: «Un lockdown serio per almeno 20 giorni», come ha sollecitato, tra tanti altri, l’epidemiologa Ethel Maciel.

«La gente muore dappertutto», minimizza il presidente, e ribadisce: «Non accetteremo la politica del restare a casa e chiudere tutto. Il virus non se ne andrà, è praticamente impossibile eliminarlo». E intanto incassa gli applausi di banchieri e grandi imprenditori, ai quali, in una cena svoltasi mercoledì a São Paulo, si è limitato a promettere di accelerare la campagna di vaccinazione.

Ma al peggio non c’è mai fine: anche sul fronte vaccini il governo si è premurato di ribadire che la vita dei ricchi vale assai di più di quella dei poveri. E lo ha fatto attraverso il progetto di legge noto come fura-fila, «salta la coda», approvato martedì dalla Camera dei deputati con 317 voti a favore e 120 contro e la benedizione del presidente della Camera Arthur Lira e del nuovo ministro della Salute Marcelo Queiroga: un provvedimento che, in un contesto internazionale segnato da un’estrema difficoltà di accesso ai vaccini, permette ai privati di entrare in competizione con lo Stato nell’acquisto di dosi, violando i criteri di equità garantiti dal sistema di salute pubblico.

E se l’ostacolo è rappresentato dall’impegno delle case farmaceutiche a vendere solo ai governi, le imprese hanno già pensato a una soluzione: che il ministero della salute acquisti le dosi per loro conto, ne trattenga la metà e ceda loro il resto. Con la possibilità magari – anche di questo si è discusso – di dedurre la spesa dalle tasse.

Già a marzo il Congresso aveva approvato una legge che consentiva al settore privato di acquistare vaccini autorizzati dall’Anvisa, l’Agenzia di vigilanza sanitaria, a favore dei propri dipendenti, a condizione però di cedere tutte le dosi al Programma nazionale di immunizzazione (Pni) fino a quando i gruppi prioritari non fossero stati tutti vaccinati, per poi trattenerne il 50%.

Il nuovo provvedimento invece, in caso di via libera da parte del Senato, non solo eliminerebbe tale condizione, ma renderebbe possibile anche l’acquisto di vaccini approvati in altri paesi – cioè da un’autorità straniera – e non ancora autorizzati in Brasile, con l’unico obbligo per le imprese di assicurare al governo la stessa quantità di dosi.

E se il progetto di legge vincola anche le imprese ai criteri di priorità stabiliti dal Pni, nessuno crede saranno rispettati: se, denunciano i critici, nello stesso sistema di salute pubblico c’è chi riesce a saltare la fila, è facile immaginare cosa possa avvenire in assenza di controlli.