«Greve Geral. Fora Temer». Il Brasile s’infiamma per lo sciopero generale in corso da ieri, il primo da 21 anni. Allora, governava Fernando Henrique Cardoso (1995-2002), e i lavoratori scioperarono contro l’alta disoccupazione e i bassi salari. Oggi, governa Michel Temer, che ha imposto al paese la sua squadra di tutti uomini bianchi, anziani, straricchi e corrotti e il piano di austerità e privatizzazioni voluto dalle grandi istituzioni internazionali.

IL NUMERO dei disoccupati ha raggiunto così la cifra record di 14,2 milioni, arrivando al 13,7% nel primo trimestre dell’anno. Con una modifica alla costituzione, si intende bloccare per vent’anni il tetto della spesa pubblica. Le privatizzazioni hanno spalancato la porta alle grandi imprese private e a quelle dell’agri-business. La Camera dei deputati ha approvato, con 296 voti a favore e 177 contrari e dopo quasi 14 ore di dibattito in un’apposita commissione speciale – la riforma del lavoro voluta da Temer, ora pronta per il passaggio al Senato. Una riforma sul modello neoliberista seguito in Europa, che prevede, tra le norme più penalizzanti, la fine della contribuzione sindacale obbligatoria e la prevalenza dei rapporti individuali tra dipendente e datore di lavoro, a scapito di quanto previsto dalla legislazione nazionale. Di identica ispirazione, anche la riforma delle pensioni, applaudita dagli imprenditori e rigettata dai sindacati. I senatori – fra i quali 24 indagati per corruzione – hanno anche approvato un progetto di legge che limita la possibilità di indagine dei giudici nell’ambito della grande inchiesta per tangenti ai politici, la Lava Jato.

ALLO SCIOPERO GENERALE, indetto dai sindacati confederali, hanno aderito varie categorie, tra cui bancari, professori e i lavoratori del trasporto pubblico. Si sono fermati anche due aeroporti di San Paolo. In prima fila, movimenti e organizzazioni popolari come i Senza Terra e i Senza tetto e il Fronte Brasile senza paura, che chiedono elezioni anticipate e la fine del governo Temer, e che hanno manifestato anche sotto casa del presidente (militarizzata). Temer – secondo i sondaggi sgradito alla stragrande maggioranza del paese – occupa la presidenza dal 31 agosto: dopo il golpe istituzionale contro Dilma Rousseff, deposta al termine di un lungo braccio di ferro. Un colpo basso orchestrato – secondo le sinistre e la chiesa di base, che sostiene lo sciopero – dai poteri forti ansiosi di mettere le mani sulle risorse del gigante sudamericano. Da allora, sono in agitazione tutti i settori sociali a cui avevano prestato attenzione i governi di Lula e di Rousseff. In questi mesi, i movimenti popolari come i Sem Terra hanno pagato un prezzo altissimo, scontrandosi con i latifondisti e perdendo diversi militanti. In questi giorni, sono tornate a farsi sentire le organizzazioni indigene, rispondendo con le frecce alla dura repressione della polizia militare che ha impedito loro l’irruzione in Parlamento. Ieri si sono verificati scontri in diverse parti del paese.

LO SCIOPERO generale – una mobilitazione dai forti contenuti politici – ha avuto bisogno di un periodo di gestazione. In mezzo, la crisi di una certa politica e del Partito dei Lavoratori (Pt), invischiato in una ragnatela di potere che ne ha fortemente minato la credibilità. I grandi media privati e la parte «schierata» della magistratura hanno cercato di pilotare la crisi verso il grande ritorno delle destre in America latina e della loro comune ricetta. La sinistra e i movimenti popolari hanno indirizzato la critica ai limiti del Pt verso un diverso sbocco: un cambiamento strutturale del modello economico e politico. Già prima di essere disarcionata, Rousseff aveva promesso che, se ce l’avesse fatta, avrebbe indetto un’assemblea costituente e messo mano alle profonde riforme che la base richiede. Dall’anno scorso, la parte più conseguente del Pt sta portando avanti un percorso di revisione, che troverà un momento di verifica nel congresso di giugno. E si prepara a sostenere Lula alle presidenziali del 2018.

L’EX SINDACALISTA resta sempre in cima ai gradimenti, nonostante il coinvolgimento in vari procedimenti giudiziari, da lui definiti «un’ingiusta persecuzione». Altrimenti, anche per il Brasile si profila il «modello Trump», rappresentato da torvi personaggi come l’ex paracadutista Messias Bolsonaro: fautore della pena di morte, della manica larga sull’uso delle armi e della chiusura alla «feccia» migrante. Bolsonaro è quello che, durante l’impeachment a Rousseff ha dedicato il suo voto al torturatore dell’ex presidente durante la dittatura militare. Temer e Macri stanno picconando l’integrazione latinoamericana, cercando di abbatterne l’ultima grande trincea, il Venezuela. Per questo, durante lo sciopero di ieri, molti lavoratori hanno espresso solidarietà al «socialismo bolivariano» di Nicolas Maduro. Dall’Italia, solidarietà ai sindacati brasiliani da parte di Maurizio Landini, leader Fiom, e anche da Cgil, Cisl e Uil.