L’annuale appuntamento senese di In-Box si conferma sempre rivelatore: per quanto si può scoprire o sorprendere dietro il sipario generazionale del nuovo teatro, ma anche per quanto suggerisce di chi i teatri italiani, sia pubblici che privati, amministra e programma. E’ insomma un bel test, proposto dalla compagnia locale Straligut, ma sostenuto dalla Fondazione Toscana Spettacolo, istituzione regionale in un territorio sicuramente privilegiato rispetto ad altre realtà.

 

 

Quest’anno sono state più di 500 le adesioni e le domanda di partecipazione alle selezioni, di gruppi e compagnie e realtà diversissime, che tramite analisi successive si sono via via ristrette ad una decina, quattro per In-Box verde dedicato ai ragazzi e otto per la rassegna vera e propria. Tutti (o quasi) andati in scena nella storica sede del Teatro dei Rozzi, bellissima situazione subito sopra l’ovale di Piazza del Campo. I premi finali (e questa è la preziosa originalità) sono costituiti dalle repliche in palio, che i più votati riescono ad accaparrarsi (52 nel concorso principale, 24 per quello «ragazzi»). Un premio concreto quindi, non simbolico o «augurale», che quasi a voler dare sostanza all’affermazione filosofica della virtù che ha il premio in se stessa, qui vede gli esercenti teatrali determinare insieme la graduatoria e la replica assicurata presso il proprio spazio. La giuria insomma ci mette non solo la faccia, ma anche una scrittura.

 

 

Detto tutto questo, è stato davvero istruttivo vedere in rapida successione linguaggi e teatralità i più diversi. Si andava dall’antico (e volutamente malinconico) teatro di figura, senza parole, di DispensaBarzotti, allo scatenato viaggio dentro e fuori dell’immagine femminile, mostrata senza veli (al massimo biancheria intima o costume da bagno) da tre scatenate creature di Qui e Ora: prorompente performance fisica ma su temi e aspetti che si vorrebbero acquisiti , almeno a livello di pensiero. E non mancavano altrove clownerie o altre «ingenue» stilizzazioni dei modi attuali del consumo. Nettamente superiore il livello teatrale del secondo classificato, Vania della compagnia Oyes. Un taglio della famosa commedia di Cechov, con cui leggere, mantenendo quei punti e personaggi di partenza (almeno alcuni) per raccontare una situazione di oggi: sentimenti, illusioni, innamoramenti e infelicità, pur tra impianti stereo, sound martellante, riferimenti geografici molto vicini. Quattro bravi attori e una regia già molto ricca e articolata (di Stefano Cordella) danno uno spettacolo vero e avvincente, cui non manca per altro ironia e consapevolezza.

 

 

Se questo si è classificato secondo quanto a repliche prenotate, chi ha vinto è stata una vera sorpresa: un gruppo di giovani (una sola donna) dei Castelli Romani, che immobili sulle loro sedie in fila, sono capaci di cogliere battute situazioni e tempi (millimetrici) per raccontare la vitalità «a responsabilità limitata» della provincia italiana. Divertenti o doloranti, le loro frasi compongono un grande mosaico di umanità. Quasi un film, della migliore commedia all’italiana. Controcanto è il nome del loro collettivo, titolo Sempre domenica. Che, si sa, è spesso maledetta.