Ramiro Saravia vive a Cochabamba e coordina le attività della rete La Tinku che si occupa di organizzare attività culturali e sociali in città e creare coscienza rispetto alle organizzazioni e le pratiche delle comunità indigene. Della rete fa parte l’unico centro sociale occupato della Bolivia, La Tinkuna. La Tinku, organizzazione nata nel 1998, oltre a organizzare proiezioni, dibattiti e un’università popolare, ha anche partecipato alle lotte sociali più radicali come la Guerra dell’acqua, la Guerra della coca e la Guerra del gas.

Ramiro è stato a fianco di Evo Morales sulle barricate nel 2000 e con lui ha viaggiato in diversi centri sociali italiani ed europei. Nonostante la sua vicinanza all’ex-presidente boliviano, ha mantenuto uno spirito critico rispetto alle sue scelte. Ma non ha mai smesso di appoggiarlo: la campagna per il refenderum del 2016, che non vedeva di buon occhio, ha cercato di sfruttarla per promuovere la formazione politica dei più giovani e rimarcando la necessità di compiere le promesse articolate nella costituzione dello stato pluri-nazionale e comunitario boliviano.
Oggi proprio quei limiti del governo che non sono stati affrontati e quelle scelte poco lungimiranti hanno indebolito l’appoggio delle basi al governo “massista”, le destre stanno cercando di approfittare degli errori di Morales per imporre il loro potere economico, politico e militare.

 

Ramiro Saravia a Cochabamba

 

 

Che clima si respira a Cochabamba in questi giorni?

La situazione è ancora molto tesa. Nonostante i blocchi stradali organizzati dalla destra che hanno immobilizzato la città negli scorsi 15 giorni non ci siano più, i sindacati dei campesinos del Tropico (Csutcb) hanno annunciato una manifestazione e blocchi in tutto il paese. Ora la questione più importante è la manifestazione di giovedì (ieri, troppo tardi per noi a causa del fuso, ndr) che ha come obiettivo quello di rifiutare il colpo di stato civico, poliziesco e militare.

Sei stato vittima o testimone di atti di violenza?

Riceviamo tante minacce ma non siamo stati attaccati. In questi giorni con il mio gruppo abbiamo appoggiato le mobilitazioni dei Vecinos de la Zona Sur, migranti quechua e aymara. Insieme siamo scesi in strada per protestare contro il golpe e il rogo della Wiphala, la bandiera che rappresenta la pluralità delle nazioni indigene. Polizia e militari ci hanno bersagliato con manganelli e gas lacrimogeni.

Qual è la situazione dei movimenti sociali e come si stanno organizzando?

Questa settimana si definirà se la destra riuscirà a consolidare il golpe o se i movimenti sociali riusciranno a fermarlo, permettendo alla presidentessa del Senato Adriana Salvatierra di guidare il parlamento, dove il Mas ha ancora la maggioranza. Alcuni movimenti hanno pensato che questo colpo di stato fosse l’inizio di una rivoluzione e si sono uniti alle proteste anti-governative. La situazione è complessa, le organizzazioni contadine e sindacali come la Cob e la Csutcb sono sul piede di guerra e non si parlerà di elezioni finché i golpisti non se ne andranno. Qui in Bolivia, storicamente, c’è una grande divisione tra la popolazione che vive nelle città e la popolazione indigena delle comunità. I bianchi delle zone urbane e ricche come Santa Cruz, il nucleo forte dell’opposizione al Mas, non hanno mai mandato giù che fosse un indio come Evo a governare e ora stanno uscendo fuori per vendicarsi e cercano i leader campesinos nelle loro case. Molti sono in esilio o stanno scappando per non farsi uccidere. Ma gli indigeni sono come un formicaio, se li disturbi escono dalle loro comunità e scendono a migliaia e bloccano tutto. Sanno bene come farlo.

 

 

Cosa succederà secondo te nei prossimi giorni?

La situazione per la destra si è complicata, le forze campesinas bloccano tutti gli accessi alle città. Solo con un grande massacro la destra potrà trionfare. Per questo abbiamo bisogno della solidarietà internazionale, perché le forze repressive stanno già iniziando a sparare contro i blocchi dei campesinos. Come a Yapacani, nel Nord di Santa Cruz, dove un giovane è stato ucciso durante un blocco con un proiettile alla testa, o nel Alto de La Paz, dove un’altra vittima è rimasta a terra dopo gli scontri con la polizia. La stampa sta dalla parte di chi ha perpetrato il colpo di stato e non diffonde la lotta dei movimenti sociali, campesinos e popolari.