Non è ancora lo sbarco dei mercenari russi, oggetto di specifico anatema francese, ma poco ci manca. Il cargo giunto giovedì da Mosca con quattro elicotteri da combattimento e altre forniture militari destinate all’esercito di Bamako, è frutto in parte di un contratto di acquisto siglato lo scorso dicembre – ha specificato il ministro ad interim della Difesa maliano, Sadio Camara -, in parte è «un dono della Federazione russa, paese amico con cui abbiamo sempre mantenuto una fruttuosa collaborazione».

Nelle stesse ore il presidente francese Emmanuel Macron definiva «vergognose» le parole usate dal capo del governo transitorio maliano, Choguei Maiga, nel suo discorso all’Onu, con l’accusa rivolta alla Francia di voler abbandonare il Mali alla mercè delle milizie islamiste. Macron dai microfoni di Radio France International gli ha ricordato di essere «figlio di due colpi di Stato», di conseguenza «la legittimità dell’attuale governo è democraticamente zero».

Quello che Maiga denuncia come «abbandono» è in realtà una rimodulazione della presenza militare francese nel Sahel, con il centro nevralgico spostato in Niger dove è già operativa una base aerea, il ridimensionamento della forza di 5 mila uomini della missione Barkhane e una redistribuzione dei rischi, oltre che degli oneri finanziari, tra i paesi che partecipano alla task force Takuba (c’è anche l’Italia)

Nel frattempo il Mali ha avuto sì un nuovo sussulto istituzionale, dopo la destituzione del presidente Keita nell’agosto 2020. Il colpo di mano del maggio scorso ha trasferito i poteri a una giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta. Un’evoluzione non sgradita a una parte della società maliana, quella legata perlopiù alle confraternite islamiche tradizionali, ormai convinta che la presenza francese non abbia giovato alla sicurezza della popolazione civile e che sia tempo quindi di tentare la linea del dialogo con i jihadisti, perlomeno con le frange più “interne” alla realtà locale, come la katiba Macina, confluita nel cosiddetto Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani.

Nel frattempo per sopperire al disimpegno francese sul terreno, porte aperte ai contractor russi. Il ministro degli Esteri Lavrov d Mosca ha confermato i contatti tra le autorità maliane e la discussa compagnia privata Wagner. Ci sarebbe già la firma su un contratto per l’invio di 1000 «formatori». La linea rossa, ammonisce la Francia con dietro l’Europa e i suoi alleati, oltre la quale scatterebbe per il Mali l’«isolamento internazionale».

Altro grattacapo per Parigi è il golpe – condannato da comunità internazionale e organismi regionali – che simmetricamente lo scorso 4 settembre ha deposto il presidente Alpha Condé nella vicina Guinea-Conakry. Un’altra ex colonia sempre più insofferente all’influenza francese e in fase di avvicinamento alla Russia, che da parte sua punta a un esteso controllo sui giacimenti di bauxite del Paese, a scapito della Cina.

Anche qui il potere ora è nelle mani di un colonnello, Mamady Doumbouya, amico di Goita con cui forma la coppia più giovane tra i capi di stato africani, con 41 e 39 anni rispettivamente. Esponente modello, anche lui, di una nuova generazione di ufficiali golpisti, a cui sembra premere più di tutto il ripristino del «rispetto dei principi democratici», a volergli credere. Ieri ha giurato nel palazzo presidenziale di Conakry con sobria cerimonia, dopo aver messo alla porta previa consegna dei passaporti gli esponenti del vecchio regime. Promette al più presto di nominare un governo guidato da un civile e di portare il Paese a elezioni che – giura – non lo vedranno candidato.