Non lo si dice apertamente ma si chiama economia di guerra, Energia, comparto agroalimentare, materie prime necessarie per la produzione di acciaio, carta, ceramica. La crescita, in Europa e in Italia, c’è ancora però rallenta: «Dobbiamo affrontare queste strozzature». A Versailles, dopo l’incontro faccia a faccia con Macron prima del vertice, Draghi fa rapidamente il punto con i giornalisti, senza entrare nel dettaglio di quel che ha deciso, in mattinata, un cdm che ha discusso proprio di come superare quelle «strozzature» e di come sostenere famiglie e imprese a rischio rispettivamente di impoverimento record e chiusure.

La risposta sarà un decreto, in programma per la settimana prossima. Bisognerà tirare fuori parecchi miliardi, ancora non quantificati, per ridurre le bollette di luce e gas. Non basterà confermare l’azzeramento degli oneri di sistema e la riduzione dell’Iva sul gas al 5%. Bisognerà aggiungere tetti al prezzo del kilowattora e del metro cubo di gas e partire con i risparmi, senza arrivare per ora al razionamento. Monumenti e strade più bui, riscaldamento abbassato di un paio di gradi, forse orari degli uffici modificati. La benzina è un capitolo a parte. I gestori vorrebbero portare anche qui l’Iva al 5%, dall’attuale 22%, la Lega insiste per falcidiare le accise. Alla fine probabilmente l’intervento sterilizzerà l’Iva ma solo sui rincari.

La diversificazione degli approvvigionamenti richiederà un intervento massiccio. Accelerare sulle rinnovabili significa infatti disboscare col napalm la giungla delle autorizzazioni necessarie, come già anticipato da Draghi mercoledì alla Camera. Ieri il governo ha sbloccato la realizzazione di sei parchi eolici. Ma le rinnovabili, anche se si riuscisse a correre, non basterebbero. Bisognerà rivolgersi al gas liquido degli Usa, che nella loro piena solidarietà con gli alleati europei non hanno abbassato i prezzi di un centesimo.

Non è solo questione di prezzi però: costruire i rigassificatori è lungo e costoso. Bisognerà probabilmente trasformare in rigassificatori le navi. Dopo l’energia l’area in maggior sofferenza è l’agroalimentare, sia per la mancanza di grano tenero e mais sia per il blocco dell’esportazione dei fertilizzanti, che vengono quasi tutti dalla Russia. Anche qui si tratta di superare le secche delle normative, in questo caso comunitarie. Tra le altre quelle che impongono di non coltivare almeno il 5% del territorio. In questo modo in Italia diventerebbero coltivabili circa 200mila ettari ulteriori.

Sul fronte delle materie prime Giorgetti ha illustrato ai ministri un pacchetto di ipotesi, senza che si sia ancora arrivati a una decisione. La misura fondamentale dovrebbe essere il divieto di esportazione, forse anche con l’introduzione di dazi doganali, di prodotti essenziali per le attività, previo accordo con Bruxelles. Il Mise sta poi cercando altri fornitori e qualche risultato lo avrebbe già raggiunto, sia pur senza arrivare a compensare in pieno la perdita. Una riduzione del danno. Ultimo capitolo, l’allargamento e il rafforzamento dei sistemi di stoccaggio.

Tutto questo avrà un costo alto. Non a caso Draghi ha ripetuto ieri che solo «lavorando insieme con la stessa convinzione e rapidità con cui abbiamo sostenuto le sanzioni» Italia ed Europa ce la faranno. Insomma ci vuole un drastico e massiccio intervento europeo. Dunque l’emissione di Eurobond o la costituzione di un nuovo Recovery Fund, un fondo di perequazione per sostenere le spese energetiche, e la sospensione delle regole rigide che limitano le possibilità di aiuti di Stato alle imprese.

Quanto di tutto questo entrerà nel prossimo decreto è ignoto e dipenderà in buona misura dall’esito delle trattative europee. Se e quanto basterà è un altro punto interrogativo: dipenderà dalla guerra. Di certo però se dovesse passare l’ipotesi adombrata ieri da Letta per «non finanziare la guerra di Putin», cioè il blocco delle importazioni di gas e petrolio russi, misure del genere sarebbero una goccia nell’oceano.