L’allarme adesso arriva direttamente dalla Turchia. Silenziosa fino a mercoledì, quando il vertice dei capi di Stato e di governo ha deciso di finanziarla con un miliardo di euro perché si attivi sia nell’assistenza che nell’impedire ai profughi siriani di raggiungere l’Europa, adesso Ankara prende improvvisamente la parola lanciando l’allarme sul possibile arrivo di milioni di rifugiati. In una lettera ai leader europei il premier Ahmet Davotoglu parla infatti di almeno sette milioni di siriani in arrivo nel paese, ipotizzando che possano poi decidere di dirigersi in Europa. Davotoglu propone per questo di realizzare una «safe zone», una zona sicura in territorio siriano dove riunire i profughi.
Il premier turco non spiega da quali fonti arriverebbero le sue informazioni, ma di sicuro non è l’unico a ipotizzare arrivi massicci. Il presidente del consiglio europeo Donald Tusk nei giorni precedenti il vertice di mercoledì è stato infatti nei campi profughi situati in Turchia, Libano e Giordania, ed è tornato a Bruxelles sconcertato da quanto ha visto. Tanto che è stato proprio lui a parlare nel corso del vertice di nuovi arrivi in massa. Concetto che ha ribadito in maniera più esplicita durante la notte: «E’ chiaro che la grande marea di rifugiati deve ancora arrivare», ha detto. «Dovremmo parlare di milioni di potenziali rifugiati dalla sola Siria, senza contare Iraq, Afghanistan, Eritrea e altri posti». Stando così le cose, Tusk non ha affatto escluso che nel prossimo vertice di ottobre l’Ue non debba più discutere della sorte di 120 mila profughi, come ha fatto litigando fino a oggi, ma addirittura di «800 mila, un milione di rifugiati da ricollocare».
Riuscirà l’Europa a rispondere a una sfida che, come ha detto ieri la cancelliera Angela Merkel, potrebbe ridisegnare il continente? Di certo mentre la diplomazia lavora per mettere fine al conflitto siriano, si attrezza. I prossimi appuntamenti importanti sono la sessione straordinaria dell’Onu sull’immigrazione fissata per la fine del mese e il vertice di Malta con i paesi africani previsto per novembre. Ma soprattutto l’incontro che il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker avrà con Erdogan il 5 ottobre prossimo, quando il presidente turco sarà in visita a Bruxelles.
Nel frattempo per Bruxelles deve attivarsi tutta la macchina fatta di aiuti economici ma anche di rafforzamento delle frontiere approvata nel summit di mercoledì e che ha il suo perno nell’avvio contemporaneo – presumibilmente entro novembre – degli hotspot, dei ricollocamenti dei profughi e dei respingimenti dei migranti economici. Questi ultimi condizionati però alla realizzazione di accordi di riammissione con i paesi di origine. Non convincerebbe invece la proposta avanzata dal premier turco Davotoglu di creare una «zona sicura» in Siria dove alloggiare i profughi. A opporsi sarebbero in particolare Francia Gran Bretagna e Germania, più favorevoli a una liberalizzazione dei visti in cambio di una maggiore collaborazione sulle registrazioni e nella lotta ai trafficanti si uomini.
A proposito di lotta alle organizzazioni criminali che gestiscono il business delle partenze dei migranti, i 7 ottobre prenderà avvio la seconda fase di EuNavFor, la missione europea a guida italiana. «Anche se quanto accaduto nelle ultime settimane nei Balcani l’ha messa un po’ in ombra, la rotta del Mediterraneo resta la più pericolosa. Intervenire qui significa ridurre il numero delle vittime», ha spiegato ieri l’alto rappresentante della politica estera dell’Ue Federica Mogherini che ha visitato i quartiere generale dell’operazione a Roma. In attesa che dall’Onu arrivi una risoluzione che consentirà di intervenire in acqua libiche, la fase due si svolgerà ancora in acque internazionali e prevede l’abbordaggio la perquisizione e la confisca dei mezzi usati dai trafficati. «Il nostro obiettivo non sono i migranti, che sono le vittime del traffico, ma le organizzazioni criminali. Oramai sappiamo come lavorano e siamo pronti a smantellare la loro rete». ha spiegato Mogherini che anche proposto di ribattezzare la missione «Sofia», dal nome di una bambina, figlia di una migrante, nata nelle scorse settimane a bordo di una delle navi impegnate nella missione.