Salvaguardia e sperpero, misura e dismisura, materia e surrealtà: non proprio il reale, dunque, ma «cose meno vive, più sfumate». Dimensioni binarie, come fossero «i lati di un ponte su cui si cammina bendati», e intorno uno spreco colossale, figlio di troppo mondo. Cosa si salverà? Le Edizioni Dot.com Press partecipano con propri autori, alla campagna «Scrittori per le foreste» di Greenpeace, per la protezione delle ultime grandi foreste del pianeta, e con esse le piante, gli animali e le comunità che le abitano.

Così si legge nella nota redazionale che chiude i libri di poesia della collana «Cantiere», diretta da Ivan Fedeli: è una dichiarazione di linea, e ci piace pensare alla tensione etica che unisce lo spirito di queste edizioni al libro di Laura Di Corcia, Epica dello spreco. Giovane poeta, giornalista, si occupa di critica letteraria, è attiva nel web, e presente in molti blog. Per La Vita Felice ha pubblicato la biografia Vita quasi vera di Giancarlo Majorino, ed ora è alla sua prima pubblicazione cartacea. L’epica dello spreco è una raccolta senza pause, non comprende sezioni. Ha un andamento continuo, assomiglia a una fuga. È una monodia, in prima persona. I versi sono rapidi, vivono come se fossero precari, traghettatori di incerte identità.

E la parola? è «un impulso che mi sale da non so dove», scrive Di Corcia, anche la parola ha a che fare con un nonnulla, con lo spreco. La prefazione di Laura Garavaglia del resto lo premette: sì, anche l’amore si lega a questo spreco. E anche qui, nell’amore, quel troppo ha a che fare col troppo poco. «Nell’ansia di abbracciare tutti mi sono dimenticata / del mio basamento». Basamento è il linguaggio. Basamento è la casa. Basamento è il lavoro. Intorno il troppo poco mondo è liquido. Nel segno di Zygmunt Bauman. E noi stiamo lì, «in attesa del tuffo», presi da un continuo venir meno. «Intendo l’angoscia, intendo la nausea del nulla», scrive Laura Di Corcia. E in questa «liquidità» nauseabonda, poeticamente si scorge per contrasto la dimensione ferma che sola appare raggiungibile: uno stagno, uno specchio, sì, solo una pozza d’acqua, e sembra sporca. Attrazione e repulsione. Fondo e superficie, tutto è scuro. Salvezza e pericolo insieme, lo stagno nasconde qualcosa di tremolante, come una torbida gelatina, «un po’ meno del ghiaccio, un po’ più dell’acqua». Eppure è inevitabile: l’immagine dello stagno ci riporta al celebre fresco haiku di Basho: dall’acqua ferma, a un tratto con un salto e con un tonfo, emerge e brilla una rana.

E tutto il mondo ne è rasserenato. «Il lago ha questo vizio del colore pieno / (e del bosco; e del tonfo) / ha l’allegria attonita di una mosca contro il vetro». La rana e la mosca urtano il vetro che sta tra noi e il mondo, danno una scossa al mondo, proprio come quando davanti a un essere seduto un musino di senso sbuca all’improvviso dalla rete, e realmente si replica, si riproduce. Succede un po’ così anche in questa Epica dello spreco, nella poesia Fiaba di Diana, ispirata dall’omonimo cortometraggio di Gianluca Chierici, a sua volta tratto da La corsa dei mantelli, romanzo di Milo De Angelis pubblicato da Guanda nel ’79 e rieditato da Marcos y Marcos nel 2011: sì, è un gioco di rimandi.

A ritroso nel tempo in questo gioco di rimandi, Laura Di Corcia torna a quella prima fiaba, e la trascina fino a oggi, fino a qui, dove il tempo è ancora freddo come una lama, violento come un attacco. Premeditato: «non avevi comprato un coltello a caso, tanto per». La postfazione di Viola Amarelli sottolinea la capacità di usare la figurazione al negativo, là dove Laura Di Corcia lega la celebre affermazione-negazione di Magritte al silenzio dei linguaggi: sì, è calato il silenzio, è inutile, «Le pipe non proferiranno più parola». È solo un libro, un primo libro, e come ogni libro è un microcosmo, un mondo in scala tra dentro e fuori, tutto chiuso in una sola goccia dello stagno. Infatti in queste pagine c’è la melma. C’è un mostro a cui dire, «dai, fai schifo». Ma anche c’è la Lombardia, c’è la collina, c’è Londra, c’è l’attesa del lavoro. C’è l’editore. E più sotto, invisibili, lontane, là sotto, ci sono le grandi foreste del pianeta, e con esse le piante, gli animali e le comunità che ancora le abitano.