Survival international nacque dopo la pubblicazione di un reportage di Norman Lewis, “Genocidio”, pubblicato nel febbraio del 1969 sul Sunday Times. Secondo quello che è considerato uno dei più grandi giornalisti della storia, la nascita di questa organizzazione era per lui il più grande successo della sua vita professionale. Oggi Survival è ancora a fianco dei popoli indigeni di tutto il mondo, offrendo loro un sostegno legale, ma soprattutto lanciando campagne di solidarietà e sensibilizzazione come quella per fermare le politiche di Bolsonaro. Ho chiesto a Francesca Casella, direttrice di Survival Italia, sempre preziosa di consigli per i miei reportage in Foresta Amazzonica, il suo punto di vista sugli ultimi drammatici avvenimenti che stanno mettendo a rischio, soprattutto in Brasile, la sopravvivenza di popoli e natura.

L’Amazzonia brucia drammaticamente. Voi che avete rapporti continui con le popolazione indigene, che notizie arrivano dai villaggi?

Rabbia, frustrazione, preoccupazione, ma anche assoluta determinazione a continuare a combattere come ci hanno detto recentemente i Guarani del Mato Grosso do Sul: «Se i popoli indigeni si estinguono e muoiono, saranno in pericolo le vite di tutti perché noi siamo i guardiani della natura. Senza foresta, senza acqua, senza fiumi non c’è né vita né speranza per nessuno. Abbiamo resistito 518 anni fa; tra vittorie e sconfitte continuiamo a lottare, la terra è nostra madre. Finché splenderà il sole e all’ombra di un albero ci sarà aria fresca, finché ci sarà ancora un fiume in cui bagnarsi, noi continueremo a combattere».

Quel che sta accadendo, non è solo uno spaventoso problema ambientale. È innanzitutto un attacco alle terre e ai diritti dei popoli indigeni del paese. L’Amazzonia nel suo insieme è la casa di oltre 1 milione di indios e stiamo assistendo a un potenziale genocidio. Preoccuparsene è una questione prioritaria di diritti umani, che non si può ignorare, perché da essa dipende letteralmente la sopravvivenza sia fisica sia culturale di interi popoli, di una parte essenziale della nostra umanità e della diversità umana.

Bolsonaro ha mantenuto la promessa. Avevo detto basta alla protezione degli indios, ora dice che sono le ong a incendiare la foresta per attaccarlo.

Un ingenuo e tipico tentativo di screditare gli avversari, ma certe dichiarazioni sono talmente inverosimili da non giovare per nulla alla sua offensiva. Bolsonaro ha «dichiarato una vera e propria guerra» ai popoli indigeni del paese. Secondo lui «gli Indiani puzzano, non sono istruiti e non parlano la nostra lingua» e il «riconoscimento delle terre indigene è un ostacolo all’agro-business». L’assalto di Bolsonaro agli indigeni e all’ambiente ha raggiunto livelli che non si vedevano da 50 anni e mentre l’Amazzonia viene distrutta per ricavarne ricchezza, i diritti degli indigeni, faticosamente consolidati in 50 anni di battaglie, vengono calpestati o cancellati impunemente.

 

Protesta indigena a Brasilia (foto Afp)

 

Le vite, le terre e i diritti indigeni sono minacciati su più fronti perché Bolsonaro sta cercando di togliere protezione alle terre indigene minando le funzioni e le risorse del FUNAI, il dipartimento governativo preposto alle questioni indigene; sta cercando di promuovere la loro assimilazione forzata per fare spazio all’agrobusiness; i suoi discorsi razzisti istigano invasori e sicari all’odio e alla violenza nei loro confronti; e facilitando il furto delle terre indigene sta anche gettando le basi per la distruzione dell’ambiente. Nei mesi scorsi, le organizzazioni indigene, e noi con loro, sono già riuscite a bloccare alcune sue pericolose manovre illegali e incostituzionali ricorrendo agli strumenti giudiziari e alle attività di lobbying. Sarà una lotta dura e impegnativa, ma sono convinta che riusciremo a fermarlo ancora e ancora, grazie al sostegno di un’opinione pubblica internazionale sempre più drammaticamente consapevole della gravità della situazione.

Ma non sono solo gli attacchi della lobbie dei ruralisti a minacciare i popoli dell’Amazzonia brasiliana, ma anche i cercatori d’oro che si sono moltiplicati, che portano distruzione e malattie, come nell’ultima epidemia che ha attaccato gli Yanomami del Brasile.

Certo, le dichiarazioni di Bolsonaro incoraggiano ogni tipo di invasione e inducono gli invasori a sperare di poterla fare franca, rendendoli ancora più temerari e violenti. Le epidemie sono un effetto secondario di queste invasioni illegali, ma purtroppo letale, soprattutto per i gruppi più isolati e per i tanti popoli incontattati del paese, che non hanno difese immunitarie contro le malattie introdotte dall’esterno. Ce ne sono anche nel Parco Yanomami. Non dimentichiamoci che in Brasile vive la più alta concentrazione di popoli incontattati al mondo. Nella sola Amazzonia brasiliana potrebbero essere circa 80. E sono sicuramente i popoli più vulnerabili del pianeta.

Quali sono attualmente le popolazioni più minacciate?

Secondo i dati rilasciati dall’Istituto socio ambientale brasiliano, sono almeno 148 le aree indigene minacciate dalle fiamme in Amazzonia, e le 10 aree indigeni più colpite sono: Parque Indígena Araguaia (TO) – quella più colpita –, TI Pimentel Barbosa (MT), TI Parabubure (MT), TI Apyterewa (PA), TI Marãiwatsédé (MT), TI Kayapó (PA),TI Areões (MT), TI Kanela (MA), TI Mundurucu (PA) e TI Pareci (MT). Ma, come dicevo, l’assalto di Bolsonaro agli indigeni e all’ambiente è un attacco di principio verso chi ha scelto di vivere in modo diverso dal nostro, dandosi priorità differenti da quelle del profitto. Questo attacco coinvolge e mette a rischio l’esistenza stessa degli indigeni brasiliani in quanto tali, ovunque essi siano. «È un peccato che la cavalleria brasiliana non sia stata efficiente quanto quella americana nello sterminare i suoi Indiani, ha affermato Bolsonaro tempo fa. Una tragedia che non possiamo permettere che accada perché non è umanamente accettabile. Dovrebbero trovarsi d’accordo anche i più cinici e gli indifferenti, se non altro perché la scienza sta dimostrando sempre più chiaramente che i popoli indigeni sono anche i migliori custodi dell’ambiente. Non è un caso che la stragrande maggioranza dei 200 luoghi del mondo a più alta biodiversità della Terra siano aree indigene. Aiutarli a difendere le loro terre e i loro diritti significa quindi anche proteggere nel modo più efficace il nostro pianeta dalla distruzione irreversibile, a beneficio di tutti, ossia dell’intera umanità.