Bisogna tornare al “decennio nero” degli anni ’90 per assistere a una serie di arresti in massa come è avvenuto in quest’ultima settimana in Algeria.

«Più di 150 persone arrestate in pochi giorni» secondo un primo bilancio pubblicato dal Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti (Cnld) «con capi d’accusa come quello di “indossare l’emblema amazigh (berbero, ndr)” o quelli di attentato “all’unità nazionale” e “all’integrità dell’esercito” o al “divieto di adunata sediziosa”».

A NOVE MESI DALL’INIZIO delle proteste, di fronte a questa escalation il popolo algerino continua a contestare il regime e ad affermare la propria contrarietà alle presidenziali, previste per il 12 dicembre, visto che «si tratta più di una campagna di arresti che di una campagna elettorale».

Come effetto di questa dura repressione, le proteste si intensificano sempre più. A poco meno di tre settimane dalle elezioni, il livello della mobilitazione è intatto, come è sembrato evidente durante il quarantesimo venerdì consecutivo dell’hirak (movimento), che ha visto un fiume di persone sfilare nelle strade per chiedere il boicottaggio delle presidenziali, viste come l’ennesimo tentativo del regime di «riciclarsi».

Dal primo giorno di campagna elettorale, lo scorso 17 novembre, si sono moltiplicate anche le manifestazioni di dissenso nei confronti dei cinque candidati alle presidenziali. A Tlemcen centinaia di giovani hanno cercato di ostacolare l’incontro di Ali Benflis, presidente del partito Talai el Houriyat, con decine di persone arrestate e condannate in tempi rapidissimi. Stessa sorte è toccata al candidato islamista, ex ministro del Turismo, Abdelkader Bengrina, bloccato per ore in un hotel, con le immagini della sua “liberazione” da parte della polizia che hanno fatto il giro dei social.

IL CNLD HA INDETTO LO SCIOPERO generale questo giovedì, 28 novembre, per «chiedere il rilascio di tutti i detenuti dell’hirak e l’immediata cessazione della repressione giudiziaria», con un appello rivolto a tutte le associazioni, i sindacati e agli esponenti della società civile. Lo stesso Cnld non esclude «l’annullamento dei risultati delle prossime elezioni presidenziali del 12 dicembre» perché il voto sarà totalmente boicottato in diverse wilaya (regioni, ndr), come in Cabilia, «compromettendo uno dei fondamenti della costituzione algerina: l’unità nazionale».

Nonostante gli incontri dei candidati senza pubblico e gli inviti al boicottaggio, il vero uomo forte del regime, il generale Ahmed Gaïd Salah, non pensa ad alcun rinvio delle elezioni, ma al contrario continua ad esprimere «la sua soddisfazione riguardo alla volontà degli algerini di andare massicciamente alle urne».

LE INCERTEZZE SUL VOTO del 12 dicembre rimangono, come confermato dal diplomatico Abdelaziz Rahabi, intervistato dal giornale online Tsa. «Mi sarebbe piaciuto un clima diverso, con la liberazione dei detenuti di opinione e l’apertura dei media (…). L’unica certezza è che non è stato possibile raggiungere un accordo politico che consentisse alle elezioni di svolgersi in condizioni adeguate e che avrebbe incoraggiato gli algerini ad andare alle urne».