Con una condanna a tre anni nei confronti del giovane internauta Walid Kechida si è aperto il 2021 in un clima di crescente repressione della libertà di espressione in Algeria.

«IL MOMENTO è veramente difficile e dobbiamo mobilitarci tutti insieme contro il regime, Walid (Kechida) è stato condannato – ha detto ad Afp Kaci Tansaout, coordinatrice del Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti (Cnld) – con l’accusa di aver pubblicato “meme” e vignette che deridevano gli esponenti del governo e la religione su Facebook».

La procura di Setif aveva chiesto cinque anni di carcere lo scorso 27 dicembre per «insulto al presidente» e «violazione dei precetti dell’Islam», diventati poi tre con la sentenza di lunedì.

Un moto di proteste ha occupato i principali social del paese con l’hashtag #FreeWalidKechida, segno di protesta nei confronti del regime che «continua la sua vendetta contro i militanti dell’Hirak»

A causa della pandemia dallo scorso marzo le proteste in strada del movimento si sono interrotte, ma non quelle attraverso il web, con un progressivo aumento della repressione nei confronti di attivisti e giornalisti come Khaled Drareni, condannato a due anni, o Mustapha Bendjama, direttore del quotidiano Le Provincial, accusato di aver «attaccato l’interesse nazionale» per le sue pubblicazioni sui social.

Più di 90 persone sono attualmente detenute in Algeria in relazione alle proteste dell’Hirak, con cinque detenuti in sciopero della fame nel carcere di El Harrach, ad Algeri, per «denunciare questa dura repressione». Secondo il Cnld, i vari processi si basano, almeno nel 90% dei casi, su pubblicazioni critiche nei confronti delle autorità sui social.

Monitoraggio dei contenuti, procedimenti giudiziari e censura dei media elettronici: se il ministro delle Comunicazioni, Ammar Belhimer, ritiene che «non ci siano prigionieri di coscienza in Algeria», numerose ong, prima tra tutte Reporters Sans Frontières (Rsf), ritengono che «il cappio si stia stringendo su internet».

IN QUEST’OTTICA viene contestata la nuova legge che punta, secondo le opposizioni politiche, «a controllare i media online, sia dal punto di vista tecnico che editoriale», dopo che già nel 2020 almeno dieci siti di notizie (Radio M, Maghreb Emergent, Interlignes, Casbah Tribune) sono stati censurati dalle autorità.

Il decreto, che concede un anno di tempo ai media per conformarsi alle nuove disposizioni, impone ai quotidiani di «fornire informazioni sui finanziamenti e di conservare un archivio di tutti i contenuti per almeno sei mesi». L’hosting del sito dovrà essere «domiciliato esclusivamente» in Algeria e per i siti che pubblicano in una lingua straniera ci dovrà essere «il consenso dell’autorità responsabile della stampa elettronica».

«IL GOVERNO MANTIENE la sua road map autoritaria e decide un altro colpo di stato in preparazione delle elezioni legislative, queste dure sentenze ne sono la conferma», ha denunciato su Twitter Said Salhi, vicepresidente della Lega algerina per i diritti dell’uomo (Laddh).

Le elezioni legislative sono previste per il 2021 in Algeria e il presidente Tebboune – rientrato dalla Germania il 30 dicembre, dopo due mesi di assenza a causa della degenza da coronavirus – ha reso prioritario lo sviluppo della nuova legge elettorale e ha validato la nuova costituzione (votata con una bassa affluenza il 1° novembre), ampiamente criticata dalla società civile perché «attribuisce troppo potere al presidente della Repubblica a discapito del potere giudiziario e politico».