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In Africa l’agrobusiness ha fallito

Intervista Per Najirou Sall, leader contadino senegalese, in Africa si gioca la partita decisiva per il diritto al cibo e già si misura il fallimento dell’agrobusiness che spinge gli agricoltori a migrare

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 18 ottobre 2018

«L’Africa è una delle partite chiave – dal punto di vista della crescita della popolazione, del diritto al cibo e delle migrazioni, ma anche degli interessi del settore privato multinazionale che veda in essa enormi possibilità di espansione nei prossimi anni. Eppure il modello agroindustriale che viene imposto nei nostri paesi e i cambiamenti climatici non consentono ai giovani che vivono in area rurale di vivere di agricoltura e di poter sfamare i loro villaggi e le città che stanno diventando megalopoli e bidonvilles. E’ questa l’origine della fuga dei giovani dalle aree rurali, di lì gran parte del problema delle migrazioni e, potenzialmente, la loro soluzione che inspiegabilmente molti governi, a partire da quelli europei, non sembrano voler percorrere».

Parola di Najirou Sall, leader contadino senegalese e vice presidente della Rete delle organizzazioni contadine africane Roppa, tra i protagonisti del World Food day 2018 celebrato a Roma dalla Fao.
14 anni fa, proprio su spinta delle organizzazioni di base, furono approvate dalla Fao le «Linee Guida» per il diritto al cibo, che dovevano orientare i governi nel combattere la fame nei propri territori. Negli anni successivi in un numero significativo di paesi, contadini e politica se ne sono serviti fino a sancire – ad esempio in Kenya, Messico, Nepal, Bolivia, Egitto, Ecuador – il diritto al cibo e alla sovranità alimentare nelle loro Costituzioni.

Il progetto «Nuove narrazioni della cooperazione», coordinato da ActionAid insieme a un cartello di enti locali e Ong come Terra Nuova e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, si propone di far conoscere esperienze e volti come quello di Najirou, per suggerire le politiche più adatte a sostenerle al parlamento e al governo italiano.

Quali sono gli impatti negativi di queste difficoltà politiche che denunciate, in particolare nel continente africano?

In Africa 12 milioni di giovani ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro e solo 900mila trovano spazio. Il modello di urbanizzazione intensiva e gli investimenti fatti sopra le teste dei produttori agricoli stanno contribuendo a sottrarre le risorse naturali dalle mani di chi le lavora. Anche l’Europa attraverso la Politica Agricola Comune (Pac) e le azioni di cooperazione finanzia l’agricoltura industriale a discapito dei piccoli produttori che stanno scomparendo. Tutti dobbiamo fare pressione affinché la Dichiarazione sui Diritti dei contadini approvata al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite – che andrà al voto finale a New York la prossima settimana – entri in vigore

Tra le questioni che voi indicate come chiave per l’affermazione del diritto al cibo, c’è quello della proprietà contadina delle sementi. Perché questo aspetto è così decisivo?

Pochi riflettono sul fatto che i nostri villaggi sono custodi di saperi tradizionali legati, ad esempio, alla conservazione e selezione delle sementi. Noi siamo continuamente derubati dalle grandi imprese sementiere e biotech che se ne appropriano e le brevettano tagliandoci, così, fuori dalla loro proprietà e dal loro uso gratuito e condiviso, senza che nessuno faccia niente per evitarlo in modo efficace. Chi non ha i semi non ha più niente, gli viene impedito di produrre e guadagnare come ha sempre fatto ma soprattutto perde il controllo sulla sua esistenza. Chi detiene i semi ha la nostra vita in mano, ma anche le nostre conoscenze che ci consentono di esistere.

E’ vero, come sostiene l’agrobusiness, che il diritto al cibo è in discussione anche perché l’agricoltura contadina non è abbastanza moderna ed efficiente per assicurarlo?

Come riconosciuto anche dalla FAO, i mercati integrati nei territori a livello locale, nazionale e regionale devono essere sostenuti perché già attualmente vi transita l’80% del cibo consumato in tutto il mondo. Essi hanno quindi un ruolo fondamentale per la sicurezza alimentare e la nutrizione. Solo il 13% del cibo consumato nel mondo transita sui mercati internazionali ma evidentemente nella narrativa dominante questi vengono promossi come la soluzione alla povertà. In realtà le importazioni che arrivano sui nostri mercati costituiscono una concorrenza sleale e destabilizzano l’economia locale imponendo prezzi troppo bassi e facendo sì che noi non riusciamo a vendere il nostro riso, il miglio, gli ortaggi. Loro sono il problema, non la soluzione.

Assistiamo da qualche anno a un vero e proprio esodo dai paesi africani. E’ solo colpa dei conflitti?

La mobilità delle persone nelle aree rurali è un fenomeno nuovo, che esiste a causa della povertà e delle ingiustizie sociali che crescono e che vengono aggravate dai cambiamenti climatici. Il Pil dei nostri paesi è cresciuto, ma queste ricchezze non si sono distribuite. E la sostituzione dell’agricoltura contadina con l’agribusiness non dà risposte alla domanda di lavoro e di sicurezza dei giovani, perché solo un modello fortenente integrato sul territorio ci lascia più valore aggiunto e quindi è più resiliente alla crisi. La migrazione è un problema che ha tante dimensioni, ma è profondamente legato al gap tra città e zone rurali che cresce. E da quanto abbiamo ascoltato dai contadini italiani che partecipano insieme a noi ai lavori della Fao, anche qui da voi le aree rurali si spopolano e l’occupazione nei campi è sempre più precaria e dipendente dalla manodopera migrante. Da Roma lanciamo tre sfide ai nostri governi e al vostro, e attraverso di esso all’Europa: per rispondere al problema delle migrazioni bisogna favorire spazi agricoli e l’accesso alla terra e ai giovani, in Africa come in Italia; poi finanziare azioni per i giovani nelle aree rurali con specifiche azioni di accesso al credito e garanzia; infine, costruire politiche per il lavoro giovanile a nord e a sud. Siamo venuti a Roma in oltre trecento contadini da tutto il mondo, con gli stessi problemi e queste stesse richieste. Chi non risponde a queste precise fa solo propaganda.

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