L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ribadito «le proprie preoccupazioni per il progressivo aumento dei casi di coronavirus nel continente africano». Il continente ha superato il traguardo di 750mila casi confermati, secondo quanto riferito dall’Oms e riportato dall’agenzia Reuters mercoledì scorso: «Un allarmante aumento di oltre 250mila casi in poco meno di due settimane, che è un segnale di possibili ulteriori epidemie nel continente», come quella di Ebola nella zona della Repubblica Democratica del Congo, ha affermato l’Oms.

«Penso che ciò che stiamo iniziando a vedere sia una continua accelerazione della trasmissione in numerosi paesi dell’Africa sub-sahariana e penso che questo dato debba essere preso molto seriamente – ha dichiarato all’Afp l’epidemiologo Michael Ryan, responsabile dell’Oms per le emergenze in Africa – anche perché i casi stanno aumentando in paesi già fragili, colpiti da conflitti e carestie, che ospitano al loro interno migliaia di profughi e sfollati».

Se inizialmente la pandemia ha colpito uno dei paesi più ricchi del continente, il Sudafrica, con oltre la metà dei contagiati (373mila) e un terzo dei decessi (5mila su 16mila morti nel continente), «attualmente sta accelerando nei paesi più poveri del continente».

L’arrivo relativamente lento della pandemia ha dato al Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa-Cdc) il tempo di coordinarsi con i ministeri della sanità dei diversi governi e ha mantenuto una progressione “controllata” in tutto il continente, grazie anche alle misure di chiusura, di prevenzione e di distanziamento attuate.

«L’apertura delle frontiere e l’abbandono di misure preventive in numerosi paesi africani, legate anche a problematiche sociali ed economiche – ha dichiarato John Nkengasong, direttore dell’Africa-Cdc – hanno fatto accelerare la diffusione del virus, soprattutto tra rifugiati, migranti e sfollati, con oltre 29 milioni di persone a rischio».

Come afferma il recente rapporto di Human Rights Watch (Hrw) su «Effetti del Covid-19 e il suo impatto nel continente africano», il coronavirus «non ha minimamente fermato o arrestato i conflitti in essere del continente come in Libia, nel Sahel o nel Corno d’Africa». «I più colpiti dall’epidemia – continua il report – cominciano e essere donne, anziani e bambini in fuga da un conflitto, con risorse scarse o inesistenti».

Profughi che vivono «in campi informali troppo densi per l’allontanamento sociale, con scarsa igiene, accesso limitato all’acqua pulita e con una totale carenza di strutture sanitarie adeguate».

Un’altra problematica, legata alla pandemia e ai conflitti nel continente africano, è «la progressiva diminuzione di aiuti adeguati e di operatori umanitari, con una situazione che ha esacerbato ancor più l’insicurezza alimentare e sanitaria» conclude il report.

A questo si unisce anche l’insicurezza dei pochi cooperanti presenti sul campo. Cinque operatori nigeriani, tra cui un dipendente della ong francese Action contre la Faim (Acf), sono stati uccisi dal gruppo jihadista Stato islamico dell’Africa occidentale (Iswap). Giovedì Iswap ha rivendicato e pubblicato il video che mostrava la brutale uccisione dei cinque uomini.

Al riguardo l’Onu, per voce di Edward Kallon, coordinatore in Nigeria, hanno dichiarato di essere «sconvolte e inorridite per l’ennesima uccisione di operatori umanitari, visto che dal 2016 ne sono stati uccisi in Africa quasi un centinaio».