«La politica è come la vita, è fatta di vittorie e di sconfitte; la cosa importante è essere animati da passione sincera. Vogliamo continuare a combattere con convinzione e determinazione. Da oggi faremo opposizione corretta, ma dura». Così Ugo Cappellacci nel day after. È però molto improbabile che a fare opposizione alla giunta di Francesco Pigliaru sarà, per i prossimi cinque anni, il presidente perdente. Nel centrodestra è infatti già cominciato il regolamento dei conti. Lo schieramento conservatore s’era già spaccato in due tronconi prima delle elezioni. Da una parte Cappellacci, che al momento della scissione di Alfano era rimasto con Berlusconi nella rinata Forza Italia, e dall’altra Mauro Pili, governatore della Sardegna dal 2001 al 2004, che in campagna elettorale ha guidato la lista Unidos. Pili non è riuscito a superare la soglia di sbarramento e non ha messo in consiglio regionale neppure uno dei suoi candidati, ma il 5,2 per cento che ha raccolto alle urne è stato determinante per la caduta di Cappellacci. Il quale, però, problemi, e non di poco conto, ne ha avuti e ne ha, oltre che con Pili, anche con fette rilevanti del suo partito. La nomenklatura di Forza Italia e del defunto Pdl in Gallura, la zona nord orientale della Sardegna dove gli interessi immobiliari sono fortissimi e che è una roccaforte della destra, ha con Cappellacci un rapporto a dir poco problematico, legato alla rivalità tra l’ex presidente e l’olbiese Settimo Nizzi. I due si sono contesi a lungo la leadership del centrodestra e la battaglia ha lasciato molte ferite aperte, che nel match con Pigliaru non hanno aiutato e che ora, dopo il voto, potrebbero riaprirsi. A che punto fossero arrivate le tensioni interne al centrodestra lo mostra il fatto che, in piena campagna elettorale, un esponente di spicco del fronte berlusconiano, l’ex senatore Giovanni Campus, non solo si è dissociato dal voto a Cappellacci, ma ha addirittura annunciato che avrebbe votato Pigliaru. E alla fine, mentre la coalizione guidata da Forza Italia ha raggiunto il 43,89 per cento dei voti, Cappellacci si è fermato al 39,6: segno evidente che il presidente uscente non piaceva a una parte del partito e a non pochi elettori. Non così nel centrosinistra, dove la somma del voto di lista, 42,45% (meno del 43,89 del centrodestra), è praticamente uguale a quella del candidato presidente Pigliaru (42,50%).

Per tutti e due i fronti, invece, vale il discorso del forte astensionismo e della massiccia emorragia di consensi. Ieri l’Istituto Carlo Cattaneo ha diffuso i risultati dell’esame dell’andamento del voto. I dati delle regionali 2014 sono stati messi a confronto con le consultazioni analoghe del 2009 e con le politiche del 2013. Il dato regionale complessivo indica che nelle elezioni regionali appena terminate i due principali partiti nati dalle aggregazioni del 2007 e 2008, Pd e Pdl, hanno perso rispettivamente un quarto (-26,3%) e circa la metà (-49,2%) dell’elettorato che li aveva scelti alle scorse elezioni regionali, nel 2009. Nel complesso, il Pd nel 2014 ha perso 53.731 voti rispetto alle precedenti elezioni regionali. Il Pdl ha perso in totale 122.327 voti tra il 2009 e il 2014. Il centrosinistra ha perso oltre il 10% dei consensi avuti nel 2009 (-11,8%). Passando al confronto tra i risultati del 2013 (elezioni politiche) e del 2014 (elezioni regionali), il dato complessivo non cambia di segno, complice l’elevata astensione. Il Pd ha subito una contrazione di oltre un terzo del proprio elettorato dello scorso anno (-35,4). In generale, il partito di Renzi ha registrato una diminuzione di consensi pari a 82.403 voti tra il febbraio del 2013 e le consultazioni appena concluse. Il Pdl replica la prestazione negativa anche confrontando il dato del 2014 con quello delle scorse politiche. Circa un terzo (-33,0%) dell’elettorato che lo aveva scelto alle scorse elezioni di febbraio non ha ripetuto il proprio voto.