Doveva essere la «cabina di regia» sulla riforma dell’Imu, lo stop all’aumento dell’Iva, gli ammortizzatori sociali e gli esodati. ma il governo ha rimandato la partita al 31 agosto. Con uno spogliatoio pieno di infortunati (Alfano), impegnati a rianimare il Pd dallo choc kazako, la riunione che si è svolta ieri a Palazzo Chigi tra Letta, Alfano e Saccomanni, Del Rio, Franceschini «non ha avuto il coraggio di fare una scelta», giudizio del segretario Cgil Susanna Camusso.

Piuttosto che correre il rischio di un autogol ha congelato le opzioni nel dibattito in corso tra chi, come il vice all’Economia Fassina (Pd) ritiene impossibile cancellare l’Imu perché «significa precludere la possibilità di evitare l’aumento dell’Iva anche dopo il primo ottobre e mettere a rischio il rifinanziamento della cassa integrazione». E chi come il capogruppo Pdl alla Camera Brunetta non vuole sentire ragioni: «L’Imu sulla prima casa – ha detto – sarà cancellata all’interno di una più complessiva riforma della tassazione sugli immobili entro il 31 agosto». Ieri le larghe intese hanno passato due ore di idillio sulle prospettive politiche in attesa del big bang in autunno. Allora si capirà se ci sarà solo una legge di stabilità oppure anche una manovra straordinaria per trovare all’incirca 8 miliardi e pagare i danni provocati da una preparazione estiva macchinosa e inconcludente.

Nel frattempo i comuni, tra cui Milano, dovranno congelare il bilancio in attesa di capire se aumentare l’Irpef e la Tares per soddisfare l’unica linea di politica economica e fiscale che resiste al governo: quella del Pdl. Il comune di Genova ha invece approvato l’aumento dell’Imu sulla prima casa nel bilancio di previsione 2013-2015. Un dato che fa capire quanto l’attendismo dei campioni al governo produca confusione nei reparti di retroguardia. Nella sonnolenza estiva quello che è certo è il consenso sull’aumento di Irpef e Tares per compensare il buco dell’Imu e lo stop all’aumento dell’Iva.

Le risorse dovrebbero arrivare da una spending review sugli «sprechi» dei ministeri (3-3,5 miliardi) e dal bonus da 7 miliardi concesso dalla Ue per non avere sforato il 3% nel rapporto deficit/Pil nel 2013. La vera notizia l’ha data però Brunetta: in autunno Letta illustrerà «ai mercati» il piano d’attacco al debito pubblico da realizzare con la dismissione del patrimonio pubblico. Un gol che vale 45 miliardi di tagli all’anno per i prossimi 20. Nella porta di chi già oggi paga le tasse.