Al tavolo dell’Imu ci sono due giocatori di poker e un altro che sta a guardare. Il primo è il vice-premier Alfano. Dietro di lui c’è il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta. Il secondo è il viceministro Pd all’Economia Stefano Fassina. Alle sue spalle c’è il segretario del suo partito Guglielmo Epifani. Chi sta a guardare è il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni. Tace, ma ha le idee chiare. Per lui l’abolizione totale dell’Imu sulla prima casa è una misura ingiusta. Costerebbe 4 miliardi di euro, ma avrebbe un impatto regressivo rispetto al reddito. Danneggerebbe i poveri a favore dei ricchi ed è quindi da escludere per ragioni di equità.

Il Pd propone una «rimodulazione» dell’Imu, escludendo il 20% dei proprietari che detengono immobili di maggior valore. «Togliere la tassa sulla prima casa all’85% dei cittadini non è un contentino, è un’operazione significativa» ha detto Fassina alzando gli occhi dalle sue carte. La soluzione è nota da tempo, ma quelli del Pdl bluffano. L’odiata tassa sul mattone non dev’essere fatta pagare al ceto medio povero, e tanto meno a quello dei proprietari.

Come un disco rotto, Brunetta ripete da settimane nell’orecchio di Alfano: «L’abolizione dell’Imu è un punto programmatico fondamentale per il governo. Il fatto che il governo non abbia presentato un testo mi lascia molti dubbi. Non è una cosa seria procedere così». Epifani lo ascolta e s’irrigidisce: «Noi non accettiamo ultimatum – ha detto ieri, gonfiando il petto, dopo un incontro con i ministri e i capigruppo Pd – è anche interesse nostro riformare l’Imu, ma non c’è solo l’Imu». Infatti, c’è la cassa integrazione, la scuola, gli esodati e lo stop all’aumento dell’Iva.

Da 72 ore Alfano recita la parte del paciere. Non farà cadere il governo sull’Imu. Dopo un «incontro costruttivo» con Saccomanni e Brunetta, così l’ha definito in un tweet ieri, sembra che il tempo per il governo volgerà al bello oggi, giorno del Consiglio dei ministri che dovrebbe trovare la quadra sul tormentone berlusconiano dell’estate. Una soluzione va trovata entro il 31 agosto perché altrimenti scatta la «clausola di salvaguardia» che ripristinerà la rata di giugno. L’operazione costa 4 miliardi, troppi per farli pesare sul bilancio statale. E allora si è trovata la mediazione: la «Service Tax», una tassa di servizio di impianto federalista che accorperà l’ex Imu e l’attuale Tares sui rifiuti.

Resta l’incognita su chi dovrà pagare il conto in una partita che tutti diranno di avere vinto. Forse saranno i comuni costretti ad alzare le tasse. Il ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha ribadito: «Non c’è nessuna ipotesi del genere». Dopo un incontro con Saccomanni e il ministro per gli affari regionali Del Rio, il presidente dell’Anci Piero Fassino è sembrato più rilassato: il governo ha accettato di modificare i termini di presentazione dei bilanci comunali e per la restituzione degli anticipi da parte dello Stato, entrati oggi fissati al 30 settembre. Quanto alla «Service Tax» i comuni hanno chiesto che sia «sostenibile per le famiglie».

Anche se quella sui costi resta ancora una partita nebulosa, la soluzione del rebus verrà dalla «Service Tax». La sua introduzione dovrebbe far risparmiare 683 euro a famiglia, sostiene Federconsumatori. Questa cifra andrebbe ad aggiungersi alla stangata 2013 su prezzi e tariffe pari a 1492 euro a famiglia. Rispetto alla precedente tassa sulla casa (l’Ici) – ha aggiunto la Cgia di Mestre – l’Imu ha comportato un aggravio medio per le imprese fino al 154%. L’anno scorso gli albergatori hanno versato 11.429 euro, la grande distribuzione 7325. L’esborso per la prima casa è stato di 330 euro, per la seconda di 663 euro. La Cgia avverte: l’abolizione dell’Imu potrebbe comportare nuovi rincari delle attività produttive.
«C’è il pericolo – conclude la Cgia – che i sindaci di affrettino ad aumentare le aliquote sui beni strumentali per ovviare in parte alla mancanza di liquidità».