A volte, le mostre, quei progetti creativi che s’insinuano nella realtà scombinando la quotidianità, nascono da incontri fortuiti. Anche di oggetti. È il caso della rassegna Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco, appena inauguratasi presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma (visitabile fino al 13 novembre) in cui quattordici artiste si confrontano con un pezzo di lino, rompendo un tabù con una storia accidentata e puntando sulla forza rigenerante del corpo femminile, anche delle sue mestruazioni.

Quel «panno» di stoffa, infatti, ripiegato, sporcato, sfilacciato, ricamato, color avorio o bianco latte non è altro che un assorbente meno tecnologico che appartiene alla storia delle nostre nonne, una reliquia che s’inscrive in un sentiero che va dalla vita alla morte, che lega il gocciolamento rosso sangue a un ciclo naturale che però non tarda a farsi culturale e a divenire «fatto occulto», indicibile segreto.

Pannolini, 2015 - cover catalogo (foto Manuela De  Leonardis)
Quei fazzoletti che fino agli anni Sessanta hanno raccolto gli umori femminili, i potenziali ovuli non fecondati, erano qualcosa con cui necessariamente si doveva venire a contatto: si lavavano, si entrava in stretto rapporto fisico con la loro «materialità» e le tracce mestruali accompagnavano le giornate, segnando momenti confidenziali e intimi (fra donne di generazioni diverse) o silenzi imbarazzati (fra membri famigliari di differente sesso).

Quando un giorno Manuela De Leonardis, ideatrice e curatrice della mostra, insieme a Rossella Alessandrucci, si è imbattuta in un banco di mercato con una pila di quei pannolini di lino, non ha avuto più dubbi: bisognava lavorare intorno agli objets trouvés, la loro carica simbolica era infinita e parlava di riti di passaggio unviersali, di età della vita, di maternità e di menopausa. Non è nuova a questo procedimento esplorativo De Leonardis: ha al suo attivo già Cake, nato dal ricettario anonimo comprato in un charity shop di Londra e poi La grande illusione, collettiva fuoriuscita da 128 romanzi d’amore recuperati accanto a un cassonetto dell’immondizia.

Così, superando la Red Flag di Carolee Schneemann (quel togliersi il tampone su cui l’artista americana costruì una performance storica) o il sangue utilizzato come colore del disgusto da Cindy Sherman in opere che testimoniavano gli scarti organici (vomito compreso), oggi le artiste si interrogano in modo meno «espressionista» e più concettuale. In mostra c’è allora l’uovo spiaggiato con dentro lillupuziani uomini di Giovanna Caimmi, arcaico residuo che va a posarsi al centro del pannolino dato in dote (non più passivamente nuziale ma per una produzione intellettuale) a tutte le artiste invitate. Oppure il tappeto per la preghiera di Maimouna Guerresi che diventa una sorta di sindone ferita, con tracce di piedi, a documentare il cammino verso il destino umano, intriso di perdite. L’americana Susan Harbage Page si sofferma invece sulle iniziali trovate sul panno: sono l’unica testimonianza, l’unico identikit di una donna – che lei immagina essere una suora – passata in questo mondo, che ha riso e pianto prima di eclissarsi. Bleed, dissanguarsi ricama l’artista a chiusura di quell’invisibile percorso esistenziale.

L’argentina Silvia Levenson cuce con perline la sagoma di una bomba, sceglie di raccontare il femminicidio al posto della gioia delle nascite. Per la giapponese Elly Nagaoka è la sospensione mestruale il periodo più interessante da indagare: ha dipinto ad olio la scritta «sono in menopausa», ripiegato il pannolino e messo su una mensola accompagnato da una scritta in rosso che ringrazia «per il lavoro svolto», non solo l’oggetto in sé ma anche il corpo femminile che ha così duramente faticato, lungo tutto l’arco della sua fertilità.