Il garante della Privacy stoppa la ministra Bongiorno sulle impronte digitali per i lavoratori statali. La rilevazione biometrica attraverso le impronte digitali e l’utilizzo di telecamere per combattere il fenomeno dell’assenteismo dei dipendenti pubblici, i cosiddetti “furbetti del cartellino”, secondo Antonello Soro «andrebbe riformulata» in quanto «incompatibile con la disciplina europea» ed anche per la sua «intrinseca contraddittorietà». Durante l’audizione davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro della Camera a riguardo del disegno di legge Concretezza. Approvato dal Senato il 6 dicembre, prevede un giro di vite contro l’assenteismo nel pubblico impiego: si supera il vecchio badge sostituiti da controlli biometrici dell’identità usando le impronte digitali (l’identificazione facciale o dell’iride sarebbe troppo costosa) e sistemi di videosorveglianza.

Secondo Soro però questi nuovi sistemi voluti dal ministro per la Pa Giulia Bongiorno andrebbero adottati «in presenza di fattori di rischio specifici, ovvero di particolari presupposti quali ad esempio le dimensioni dell’ente, il numero dei dipendenti coinvolti, la ricorrenza di situazioni di criticità che potrebbero essere anche influenzate dal contesto ambientale», non in maniera generalizzata a tutte le pubbliche amministrazioni. Inoltre secondo il Garante «sarebbe opportuno modificare il testo prevedendo espressamente l’alternatività del ricorso alla rilevazione biometrica e alle video riprese».
Per Soro l’introduzione delle impronte «sarebbe difficilmente compatibile» con la normativa europea che le prevede solo in casi di necessità e proporzionalità, mentre i dati sul «fenomeno della falsa attestazione della presenza in servizio sono indubbiamente gravi ma non univoci, nè «sistematici e generalizzati». I dati infatti per il 2018 rilevano «89 licenziamenti da accertamento in flagranza di falsa attestazione della presenza in servizio», pari a solo «il 10 per cento dei provvedimenti di licenziamento disciplinare adottati nell’ultimo anno». Le impronte sarebbero quindi da utilizzare «solo in presenza di fattori di rischio specifici qualora soluzioni meno invasive debbano ritenersi inidonee allo scopo».
Insomma, una bocciatura quasi totale dell’architrave del ddl.

La risposta della ministra non si è fatta attendere. Su Twitter Bongiorno ricorda che il sistema studiato nel Ddl concretezza «trasforma le impronte digitali in codici alfanumerici che garantiranno la privacy del dipendente», «su lotta ad assenteismo non si torna indietro, lo Stato ha il dovere di prevenire i reati. PA funziona solo se ciascuno fa il proprio dovere», ha chiarito.

Ma i sindacati si fanno subito sentire. «L’allarme lanciato dal Garante della Privacy è in linea con quanto da noi sempre sostenuto, il governo deve convocarci con urgenza per rivedere il ddl Concretezza, così come riflettere sul provvedimento che mira a introdurre strumenti di video sorveglianza negli asili e nelle case di cura», attacca la Funzione Pubblica Cgil. «Si sta costruendo un clima di sospetto che mette all’indice i dipendenti pubblici, come se fossero una categoria pericolosa. È una grave responsabilità, quella del governo e che mira a criminalizzare i lavoratori dei servizi pubblici – continua la Fp Cgil – . Le parole del Garante Soro dimostrano come l’impostazione sia totalmente errata e incompatibile con le norme europee, nonché contraddittorie. Il nostro obiettivo, che è quello di tutelare i diritti di chi lavora e di chi usufruisce del servizio, insieme all’esigenza di premiare adeguatamente chi fa il proprio dovere per contrastare abusi e furbetti, deve passare attraverso la responsabilizzazione dei dirigenti che devono sovrintendere i controlli, la sola impostazione percorribile», chiude la Fp Cgil.