Manca più di un mese alle elezioni e la nuova legge elettorale sta già facendo sentire i suoi effetti. Pesanti, vista la difficoltà di partiti e coalizioni a chiudere le liste elettorali. L’operazione non è mai stata semplice, con il Rosatellum pare impossibile. Perché il nuovo sistema combina le caratteristiche del voto bloccato, quello che permette ai leader di scegliere in anticipo deputati e senatori, a un complicato sistema di attribuzione dei seggi che smonta sul nascere le certezze dei capi partito. In teoria le liste sono riempite di «nominati», in pratica le nomine sono affidate al caso (assai più che agli elettori).

Per un terzo, deputati e senatori saranno eletti nelle sfide uninominali, quelle dove conquista il seggio chi prende anche un solo voto più del secondo. In teoria è una gara, in pratica il risultato è deciso in anticipo dalla forza del partito in quel territorio. Infatti le liste si fanno dopo aver visto gli ultimi sondaggi nei collegi, calando i prescelti nei posti sicuri. Cioè si assegna il collegio al candidato, e non il candidato al collegio come da propagandato «spirito dell’uninominale». Problema: i collegi sicuri non bastano; soluzione: le pluricandidature. Chi corre nell’uninominale si presenta anche come capolista nel proporzionale. Non una, ma fino a cinque volte. Nel caso delle liste che non hanno chance di vittoria nei testa a testa il proporzionale è un obbligo e la candidatura nell’uninominale serve solo a tirare voti sul simbolo – il Rosatellum infatti prevede un solo voto per i due sistemi.

Ma neppure una candidatura da capolista al plurinominale basta per chi «deve» essere eletto, neanche in un collegio che sulla carta è «sicuro». Perché il sistema con cui il Rosatellum assegna deputati e senatori non garantisce che il risultato sul territorio sia effettivamente rispettato. Intanto il riparto dei seggi per ogni lista è fatto a livello nazionale. È lì che si decide quanti parlamentari avrà una lista, a prescindere dal suo risultato nelle circoscrizioni. Facciamo un esempio: se Liberi e Uguali prende l’8,5% dei voti validi in Toscana, non per questo conquista con certezza due seggi nel proporzionale in quella regione (l’8,5% dei 24 seggi in palio). Va così solo se quei due seggi sono compatibili con il numero totale dei seggi che spettano a LeU a livello nazionale. Ma anche ammesso che siano due, non è detto che all’interno della circoscrizione Toscana scattino i seggi nei collegi plurinominali dove la lista ha conquistato le percentuali maggiori. Perché l’attribuzione finale deve tenere conto del calcolo dei resti e delle compensazioni che una lista «eccedentaria» (che si trova con più eletti nella circoscrizione rispetto a quelli che le spettano nazionalmente) deve fare in favore delle liste «deficitarie». Conclusione: per essere sicuri dell’elezione, i leader sono costretti a pluricandidarsi come capilista in più collegi della stessa circoscrizione.

Il risultato non è bello, anzi, ma non è ancora tutto. Perché è il seggio che la lista ha conquistato con la minore cifra elettorale percentuale a eleggere effettivamente il candidato che non ce l’ha fatta nell’uninominale e che si è candidato anche in più collegi proporzionali. Negli altri scatterà il secondo in lista. O la seconda, perché la legge impone l’alternanza di genere complicando ancora i piani di chi compila le liste. Per avere qualche garanzia bisognerebbe pluricandidare anche i secondi e i terzi in lista. Non è detto che non vedremo anche questo.