Vice ministra degli esteri Marina Sereni, l‘Ue dovrà replicare al Piano Trump. Forse non basta più ribadire appoggio alla soluzione a Due Stati

 

Il Piano del Presidente Trump ha avuto il pregio di rimettere il tema del processo di pace in Medio Oriente all’ordine del giorno della comunità internazionale, dopo uno stallo lunghissimo. Tuttavia i tempi e le modalità della presentazione del Piano hanno suscitato diversi interrogativi e hanno provocato reazioni non positive non solo tra i Palestinesi. L’Europa fa bene a voler approfondire i contenuti del Piano e a ribadire i suoi punti fermi: ripartire dalle risoluzioni Onu e dal principio – che lo stesso Piano Usa cita – di Due Stati. Ma non possiamo fermarci qui: la situazione in questi anni è molto peggiorata, gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono aumentati, a Gaza siamo di fronte ad una emergenza umanitaria, Israele continua ad essere oggetto di attacchi e la sfiducia tra le parti è enorme. Per questo credo sia necessario che l’Unione Europea, più che scrivere un piano alternativo, si spenda perché si creino le condizioni per un nuovo negoziato diretto tra Palestinesi e Israeliani. Nessuna pace è possibile senza un accordo che riconosca il diritti di entrambi i popoli ad avere uno stato e a vivere in sicurezza. E il nodo di Gerusalemme è troppo delicato e complesso per essere affrontato in maniera unilaterale.

 

 

Il Lussemburgo vuole il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina. L’Italia sostiene questa proposta?

 

L’Italia non è mai stata contraria a questa iniziativa in sé. Abbiamo sempre ritenuto che questo passo dovesse essere finalizzato a favorire il processo di pace. Mi sembra opportuno che a livello europeo si ragioni insieme su questo. Così come credo che l’Europa debba sostenere il processo di riconciliazione tra i Palestinesi e favorire lo svolgimento di nuove elezioni presidenziali e parlamentari cui possano partecipare i cittadini palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.

 

 

L’Onu ha pubblicato una lista di aziende che operano negli insediamenti coloniali israeliani. L’Italia è d’accordo?

 

L’Italia ha sempre mantenuto un approccio costruttivo e bilanciato in relazione alle risoluzioni in tema di diritti umani presentate da parte palestinese in Consiglio Diritti Umani a Ginevra. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto le prime bozze dei testi che verranno presentati alla sessione di quest’anno e, in stretto coordinamento con i membri europei del CDU, li stiamo attentamente valutando. Detto ciò, è noto che il nostro Paese, come l’Unione Europea, ha sempre rifiutato ogni forma di boicottaggio verso Israele, in particolare la campagna “BDS” (Boycott, Divestment, Sanctions). In questo quadro abbiamo preso nota della pubblicazione del database delle imprese operanti negli insediamenti israeliani in Cisgiordania. In linea con i partner UE, abbiamo però espresso contrarietà a tale pubblicazione, sia perché un simile esercizio appare oltrepassare le competenze dell’Alto Commissario, sia perché comporterebbe danni commerciali e reputazionali a quelle imprese che operano in un quadro giuridico di legalità e che verrebbero esposte ad un “name & shame”, assimilando così il database ad una “black list”. Il database, tra l’altro, rischia di essere controproducente per gli stessi Palestinesi, molti dei quali lavorano e sono impiegati nelle imprese listate.