In Medio oriente si valutano i riflessi dell’attacco americano alla Siria. Da un lato si tende a considerare “simbolico” il passo militare fatto da Trump, un avvertimento e nulla di più a Bashar Assad. Dall’altro l’attacco Usa rafforza il fronte “ribelle” e jihadista in Siria e riaccende le speranze di vittoria delle monarchie del Golfo e della Turchia, a svantaggio del presidente siriano e dei suoi alleato: Russia, Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah. Su questi temi abbiamo intervistato Ali Hashem, analista del noto portale mediorientale al Monitor ed esperto di Iran, Libano e Siria.

Quali saranno le conseguenze politiche e militari di questo bombardamento americano contro le forze armate siriane

Sul piano militare non prevedo riflessi. La distruzione di quella base aerea (Shayrat) non può cambiare il quadro sul terreno favorevole all’esercito governativo. Piuttosto è sul piano politico che avrà delle conseguence. Mi riferisco al negoziato a Ginevra. L’opposizione probabilmente ritiene che Trump sarà pronto ad usare ancora la forza e questo terrà sotto pressione il presidente Assad per costringerlo ad accettare ciò che ha respinto sino ad oggi, a partire dalla sua uscita di scena.

Trump in campagna elettorale diceva che il suo obiettivo non è rimuovere Assad dal potere ma lottare contro l’Isis. Ora usa il pugno di ferro con Damasco. E’ solo una reazione al bombardamento nella provincia di Idlib o questo cambiamento è frutto anche del recente colloquio avuto dal presidente americano con il vice principe ereditario saudita Mohammad, durante i quali Usa e Arabia saudita hanno stretto ulteriormente la loro alleanza strategica

Molti fattori possono aver avuto in peso in questi ultimi sviluppi. I leader dell’Arabia saudita, delle monarchie del Golfo e di altri Paesi della regione schierati contro Assad e l’Iran, in questi ultimi mesi hanno atteso di vedere un cambiamento vero nella politica americana in Medio oriente dopo il passaggio di poteri da Barack Obama a Donald Trump. Con ogni probabilità ora pensano che il nuovo presidente americano sia effettivamente deciso a svoltare rispetto alla linea morbida del suo predecessore. Si sentono più forti e in grado di convincere Trump a cambiare la sua politica verso Damasco. Ciò ha avuto un riflesso immediato nelle azioni dei gruppi siriani anti Assad, sponsorizzati da questi Paesi. Nelle ultime settimane, ad esempio, le formazioni armate di opposizione hanno lanciato due ampie offensive contro le forze governative a Hama e alla periferia della capitale Damasco. Non si può peraltro escludere che le pressioni di questi Paesi abbiamo spinto Trump ad adottare una linea meno amichevole nei confronti della Russia. Ecco, una conseguenza immediata e concreta del bombardamento Usa contro la base siriana, è proprio la tensione tra Mosca e Washington, un esito che certo non dispiace a diversi leader della regione.

Due Paesi, Libano e Iran, seguono con attenzione gli sviluppi di questa nuova crisi. Che impatto avrà l’intervento Usa contro la Siria nelle vicende interne libanesi e, soprattutto, a Tehran avviato verso le elezioni presidenziali in un clima di crescente ostilità da parte dell’Amministrazione Trump

Non penso che per la sicurezza in Libano possano esserci delle conseguenze mentre in politica l’accaduto rischia di peggiorare ulteriormente i rapporti tra le forze politiche anti Assad (guidate dal premier Saad Hariri, ndr) e quelle che sono alleate di Damasco come Hezbollah, che è impegnato militarmente a sostegno dell’esercito siriano. Mi aspetto scontri verbali più accesi tra i leader politici e velenosi scambi di accuse ma non incidenti nelle strade del Paese. Per quanto riguarda l’Iran mi aspetto riflessi politici significativi. Il bombardamento in Siria potrebbe convincere molti cittadini iraniani che la nuova presidenza americana stia cercando lo scontro a tutti i costi e che potrebbe davvero mettere in discussione l’accordo sul nucleare (iraniano) raggiunto quasi due anni con la comunità internazionale. Tanti iraniani potrebbero spostarsi verso il campo conservatore, più radicale, che non ha mai creduto alla sincerità degli Stati Uniti e alla politica moderata e del dialogo portata avanti dal presidente Rohani.