Di questi tempi, i pasdaran si muovono utilizzando le tecniche del Mossad: attirano la preda in un luogo, tendono la trappola e la catturano. Nel caso degli iraniani, decisiva è la complicità di altri paesi.

A fine gennaio a mettersi nei guai era stato il rapper underground iraniano Amir Tataloo. Particolarmente critico e offensivo nei confronti della dirigenza di Teheran, il trentunenne era finito in manette mentre si trovava in Turchia.

Se non era stato deportato nella Repubblica islamica, è stato grazie all’intervento della comunità internazionale che ha fin da subito acceso i riflettori sul suo caso. In ogni caso, dalla cella era uscito malconcio. Ora, la vittima dei pasdaran è il giornalista dissidente Ruhollah Zam.

Attirato con l’inganno in Iraq dove avrebbe voluto incontrare il grande Ayatollah al-Sistani, Zam è stato catturato in un’operazione dei corpi speciali al-Qods delle Guardie rivoluzionarie, ovvero di quelle unità incaricate delle operazioni all’estero di cui il generale Soleimani, assassinato a gennaio da un drone americano, era il comandante in capo. I pasdaran l’hanno preso e portato in Iran.

Un processo sommario, la confessione estorta con la tortura e mandata in onda dalla tv di Stato della Repubblica islamica. Dopodiché, la condanna a morte. Ruhollah Zam è finito sulla forca sabato mattina. Impiccato, dopo che la condanna è stata confermata dalla Corte suprema per la «gravità dei crimini» commessi contro la Repubblica islamica dell’Iran.

Ruhollah Zam gestiva il sito di informazione d’opposizione Amad News. Amad è l’acronimo persiano di conoscenza, lotta e democrazia. Anche noto con il nome di Seday-e Mardom (la voce della gente), il sito ha oltre un milione di followers su Telegram, dove diffonde video delle proteste e informazioni riservate sulla dirigenza iraniana.

Il giornalista è stato accusato di spionaggio a beneficio dei servizi di intelligence di «Stati uniti, Francia, Israele e di un paese della regione» per far cadere la Repubblica islamica. È stato condannato «per aver agito in modo da minare la sicurezza dell’Iran all’interno del paese e all’estero, disseminando menzogne e danneggiando il sistema economico del paese». Così ha riferito la tv di Stato.

Nato a Teheran nel 1978, Ruhollah Zam era figlio del religioso riformista Muhammad Ali Zam. I legami con il clero sciita non sono però stati sufficienti a salvargli la pelle. Nel corso degli anni aveva partecipato a manifestazioni contro la Repubblica islamica dell’Iran.

Nel 2009 era stato arrestato per aver militato nel movimento verde di protesta durante le contestate elezioni presidenziali in cui l’ultraconservatore Ahmadinejad aveva vinto grazie ai brogli. Zam era stato poi accolto come rifugiato in Francia.

Era spesso ospite dell’emittente radiofonica Voice of America. Tra il dicembre 2017 e il 2018 era stato attivo su Telegram durante le proteste in Iran scatenate dall’aumento del prezzo del carburante. Il 14 ottobre 2019 era stato in visita in Iraq e, lì, le forze speciali dei pasdaran lo hanno fatto prigioniero e deportato in Iran. Prendendo anche possesso del suo canale Telegram.