E’ difficile resistere alla scrittura di Elizabeth von Arnim, britannica nata in Australia, grande viaggiatrice, che collezionò mariti, amanti e amicizie importanti nell’Europa che contava e seppe dare un quadro vivace dei suoi tempi con leggerezza di tratto e acuto spirito di osservazione, doti esercitate tanto in ambito psicologico-sociale quanto politico. Dopo Il giardino di Elizabeth, opera d’esordio, uno tra i suoi titoli più noti è Un incantevole aprile, la cui prima traduzione uscì da Le Monnier nel ’28, e ora viene ripreso da Fazi, nell’elegante versione di Sabina Terziani (introduzione di Cathleen Shine, pp. 287, € 15,00).
Il romanzo è tutto un tessuto di arguzie, impertinenze e sottigliezze. Il primo personaggio ad affacciarsi è Mrs Wilkins, una giovane che legge sul Times l’annuncio di un castello medievale da affittare per un mese in Italia. Decide ipso facto di rispondere senza consultare il marito e fa in modo di coinvolgere altre tre donne. Con queste nuove amiche fa l’esperienza del soggiorno in un piccolo centro ligure baciato dalla luce, inondato di fiori, giardino di delizie, anzi vero e proprio locus amoenus, definito come autentico paradiso da chi si è lasciato alle spalle il grigiore di Londra, le sue asfissianti regole sociali, mariti e genitori compresi. Lo spazio del giardino, del luogo naturale circoscritto, va a rappresentare una negazione recisa e coerente della city, luogo nel quale al massimo la bellezza trasforma un uomo intelligente in un idiota.

Le piccole difficoltà di adattamento in un ambiente tanto diverso dal loro e le piccole scaramucce che intervengono tra le ospiti sono il preludio di una profonda trasformazione che muta radicalmente l’animo di tutti coloro che cadono nell’incantesimo del castello: sole, glicini, lillà e acacie con i loro profumi e i loro colori soavi introducono come per magia ad uno stato di armonia e di serenità. Ma von Arnim non è E. F. Benson e queste signore non sono Mapp e Lucia, le cui avventure peraltro sono pubblicate in quello stesso periodo. Siamo del tutto lontani anche dal Forster di Camera con vista. Il ritmo è quello della commedia brillante, in cui l’umorismo deriva da un’intelligenza appena destata a nuova vita che coglie la stupidità dei conformismi.

Dunque una storia non convenzionale basata sulla singolare circostanza per cui una giovane donna, non particolarmente intelligente e del tutto priva di ambizioni, si lascia sedurre dalla possibilità di concedersi un mese di solitudine, bellezza e libertà in compagnia di sconosciute, anche bizzarre o altezzose, ma con le quali riesce a liberare energie restate del tutto silenti fino a quel momento. È proprio Mrs Wilkins a mettere in moto un meccanismo che trasforma gli egoismi in lealtà generose.

Spietata nel rappresentare gli stereotipi della società britannica, l’autrice è abilissima nel ritrarre condizioni sociali, culturali e psicologiche di creature che, appena si allontanano dai luoghi nei quali i loro ruoli sono predeterminati, si ritrovano per incanto capaci di risolvere problemi, di articolare pensieri intelligenti e pieni di buon senso e di dirigere a modo loro e con esiti pienamente positivi questioni che nel loro ambiente di origine non avrebbero osato affrontare senza il soccorso di un maschio condiscendente.

Elizabeth von Arnim illumina magistralmente lo spazio che si estende tra un’apparenza di disadorna banalità e la disarmante perspicacia di una femminilità risoluta, equilibrata e incurante dei pregiudizi, tale da indurre anche gli uomini più fatui ad essere migliori. Una condizione che l’autrice conosceva bene e che aveva vissuto in prima persona. Tutti gli elementi che entrano nella composizione di questo romanzo ostentano una perfetta frivolezza, eppure generano un’eco persistente, il cui suono annuncia l’avvento di un modo nuovo di essere donna e un nuovo possibile rapporto tra i generi.