Dopo mesi in cui aveva resistito alle pressioni dei colleghi di partito, dei media e di gran parte della base democratica, la presidente della Camera Nancy Pelosi ha annunciato l’apertura di un’indagine formale di impeachment per Donald Trump, istituendo così uno scontro costituzionale e politico che contrappone il Congresso al capo dell’esecutivo della nazione.

La formula usata da Pelosi è stata: «Oggi sto annunciando che la Camera dei rappresentanti sta andando avanti con un’indagine di impeachment ufficiale. Il presidente ha tradito il suo giuramento, deve essere ritenuto responsabile. Nessuno è al di sopra della legge».

Non si era arrivati all’impeachment  nemmeno dopo l’esito dell’investigazione sul Russiagate portata a termine dal procuratore speciale Robert Mueller, il quale aveva concluso che Trump non poteva dirsi discolpato in quanto se «fosse stato possibile dichiarare l’innocenza del presidente» l’avrebbe fatto. Ma il caso Ucraina, diventato l’ultimo terreno di scontro tra The Donald e i democratici, ha fatto rompere gli indugi.

A dare la spinta finale è stata  l’ammissione serena di Trump che, parlando con i giornalisti, ha confermato ciò che aveva sempre omesso, vale a dire la telefonata del 25 luglio scorso con il neo presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky; «L’ho chiamato per congratularmi per la sua vittoria elettorale – ha detto Trump – Abbiamo parlato anche di Joe Biden, perché non vogliamo che qualcuno di noi, come l’ex vice presidente Biden e suo figlio, alimentino la corruzione in Ucraina».

Il Wall Street Journal aveva rivelato che Trump aveva chiesto per otto volte a Zelensky la riapertura di un’inchiesta già archiviata, contro un’azienda di gas, la Burima, che aveva nel consiglio di amministrazione il figlio di Joe Biden, Hunter Biden; in cambio di questo favore personale Trump avrebbe assicurato all’Ucraina lo sblocco delle forniture militari, un favore da 250 milioni, utili all’Ucraina per fronteggiare l’invasione dei russi nel Donbass.

IL 12 agosto la telefonata venne segnalata da un whistleblower all’Ispettore generale della Comunità di Intelligence, Michael Atkinson, che, trasmise il rapporto classificato come «urgente ed allarmante» al direttore (ad interim) della Nsa (National Security Agency), Joseph Maguire.

Maguire, però, decise di non seguire il protocollo e non lo trasmise a sua volta al Congresso; tutta questa vicenda è però venuta alla luce grazie al Washington Post che, per la seconda volta, dopo il caso Nixon, è il deus ex machina dell’impeachment di un presidente.

L’impeachment è un evento straordinario nella prassi politica Usa e potrebbe ribaltare l’esito delle elezioni del 2016, ma prima di arrivare a quel punto bisognerà passare per un’indagine e un voto della Canera, la consegna dei documenti per la messa in stato d’accusa della Camera, il tutto poi deve essere trasmesso al Senato come organo giudicante.

Il pericolo che il processo, una volta arrivato al Senato a maggioranza repubblicana, si areni, regalando a Trump un’aureola nuova di zecca e pulendolo da ogni colpa, e che questo possa accadere a ridosso delle elezioni, era proprio una delle principali remore di Pelosi; la serafica ammissione di Trump di aver cercato l’aiuto di un leader straniero per influenzare la campagna elettorale Usa  è però riuscita a far rompere gli indugi alla riluttante presidente della Camera.

Trump ha reagito all’annuncio della speaker della Camera definendo l’impeachment «spazzatura» e una «caccia alle streghe», i mercati, invece, l’hanno preso più seriamente e la sola notizia dell’annuncio dell’inchiesta sul presidente ha fatto sì che Wall Street chiudesse in perdita, il Dow Jones scendesse dello 0,5% e il Nasdaq dell’1,5%.