È realmente sotto un fuoco incrociato il presidente Piñera. Se non bastassero le manifestazioni di massa che continuano a scuotere il paese esigendo la sua rinuncia, il presidente deve far fronte anche alla richiesta di impeachment da parte di parlamentari del Frente Amplio e della ex Nueva Mayoría di centro-sinistra (già ex Concertación).

E in più rispondere alle denunce sulla brutale repressione dei manifestanti, su cui indagherà la delegazione inviata dall’Alta commissaria Onu per i diritti umani, la ex presidente cilena Michelle Bachelet, e su cui intanto è arrivata la timida ammissione del ministro della Giustizia Hernán Larraín: «Si sono prodotte situazioni che apparentemente sembrano configurare violazioni dei diritti umani».

Ed è proprio sotto questo assedio che è maturata l’inattesa decisione di cancellare il Vertice Apec previsto per il 16 e 17 novembre e, soprattutto, la Cop 25, la Conferenza Onu sul Clima che doveva svolgersi sempre a Santiago fra il 2 e il 13 dicembre. Una decisione, quest’ultima, che obbliga ora la Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico) a cercare in fretta «soluzioni alternative» per impedire che un appuntamento di tale importanza subisca uno slittamento eccessivo.

«Come presidente di tutti i cileni, devo sempre anteporre a tutto i loro problemi, i loro interessi e le loro speranze», ha spiegato Piñera, con involontario umorismo, nel comunicare «con dolore» la sua decisione. Come appunto se i problemi, gli interessi e le speranze dei cileni non passassero esattamente per le sue dimissioni. Un annuncio il suo, che, tra l’altro, ha avuto un forte impatto sulla Borsa cilena e soprattutto sul valore del peso, mai così basso dal 2003, con il rischio che si apra per il governo un altro pericoloso fronte, quello con i grandi gruppi economici, i quali, si sa, «non hanno amici ma interessi», e di certo vedono con disappunto sfumare l’immagine del Cile come paradiso degli investitori.

Sul modo poi di ottenere la rinuncia di Piñera esiste più di una strategia. Tra i manifestanti sono molti a puntare su uno sciopero generale a tempo indeterminato diretto a paralizzare il paese fino a ottenere la caduta di Piñera e la creazione di un’Assemblea costituente. E sono ancor di più a ritenere che solo attraverso la mobilitazione dal basso si potranno ottenere tali obiettivi. In tal senso, la sfiducia verso il Parlamento – anche rispetto all’«accusa costituzionale» (come viene chiamato in Cile l’impeachement) portata avanti da una parte dell’opposizione – non potrebbe essere più netta.

Qualunque altra misura che non sia cacciare Piñera con un’azione dal basso, sostiene per esempio Pablo Torres del Partido de Trabajadores Revolucionarios, non potrà fare altro che «cambiare qualcosa perché non cambi nulla». E ancora più esplicita è Rafaella Ruilova di Pan y Rosas: «Qualcuno crede realmente che questo parlamento, questa casta di ladri che legifera contro il popolo lavoratore, rovescerà Piñera?».