Turistificazione e Airbnb hanno trasformato, nel volgere di pochi anni, il Portogallo in un paradiso della speculazione immobiliare. Fino a qui nulla di nuovo, un fenomeno conosciuto un po’ a tutte le latitudini, da New York a Barcellona, la questione abitativa è diventata uno dei grandi temi. Su di un punto tuttavia il Portogallo segna una differenza: la dimensione che assume l’impennata del costo dell’immobiliare.

NON SOLO TURISMO si dovrebbe dire. Lo “statuto di residente non abituale”, approvato nel 2009 ha l’obiettivo di attrarre cittadini da tutto il mondo interessati a un regime di tassazione estremamente concorrenziale.

Insomma una vera e propria operazione di dumping fiscale come ce ne sono molte e di molte tipologie in giro per l’Europa. La categoria dei pensionati è di gran lunga quella maggiormente beneficiata, perché l’esenzione è totale, ma i pensionati non sono gli unici ad avere diritto a sconti competitivi. Ovviamente per spostarsi occorre averne un vantaggio, le imposte dirette sul reddito sono progressive e quindi gli unici a guadagnarci sono i ceti benestanti. Lo statuto di residente non abituale prevede una sorta di flat tax al 20% a coloro che svolgano una professione dall’”alto valore aggiunto”. Molto estensiva la categoria che annovera: medici, cantanti, architetti, designer, professori, tecnici di programmazione informatica, eccetera. Sarebbero più di 20 mila i professionisti, soprattutto quadri d’impresa e soprattutto europei, a usufruire di queste agevolazioni. Tra gli altri: francesi (6.000), italiani (3.000), britannici (3.000). Apparentemente l’idea è geniale: quel 20% che il fisco portoghese incassa è tutto guadagnato perché grava su persone che prima vivevano in altri paesi. Nei fatti però questo provvedimento ha un duplice effetto negativo: da una parte acuisce profondamente il problema abitativo, perché il potere di acquisto dei nuovi arrivati è incomparabilmente più elevato di chi vive in Portogallo (il salario medio è di circa 700 euro). Dall’altro contribuisce a indebolire la capacità impositiva degli altri paesi e, quindi, mina alla base il finanziamento del welfare state.

ORA IL GOVERNO COSTA ha deciso di ridurre la portata dello statuto dei residenti non abituali, aggiungendo una timida aliquota del 10% ai pensionati che da ora in poi decideranno di trasferirsi, il provvedimento quindi non ha, com’è ovvio, effetto retroattivo. Cambia poco, anche se è certamente una scelta che va nella giusta direzione. Tuttavia il punto in realtà non è tanto quello che si fa a Lisbona, ma quello che si decide o si dovrebbe decidere a Bruxelles. Molti sono infatti i regimi di dumping fiscale che si aggirano per l’Europa: Paesi Bassi, Lussemburgo e Irlanda tanto per citarne alcuni. Il tema è di quelli ostici, quindi si finisce per distrarsi. Eppure la questione di come recuperare risorse dovrebbe essere al centro dell’agenda politica. Sono diventate troppe le aree su cui gli stati hanno perso in qualche modo la propria sovranità impositiva. Intanto ci sono le imprese del web – Alphabet, Netflix, Facebook e Amazon – a cui bisogna aggiungere i paradisi fiscali per le società per azioni e, infine, come nel caso portoghese, quelle per le persone fisiche. Ogni stato si specializza in un suo settore e nel complesso rimane davvero poco per finanziare lo stato sociale che infatti sta andando in crisi un po’ a tutte le latitudini.

È quasi un non argomento questo che tuttavia dovrebbe essere la questione fondamentale. Di fronte a un mondo che si globalizza e a un Europa che è, non solo da un punto legislativo, sempre più integrata, le risposte sono inesistenti o comunque ancora troppo timide. Difficile quantificare esattamente quanti siano gli italiani che lavorano nel resto dell’Ue, il dato degli iscritti all’anagrafe degli italiani all’estero (Aire), un po’ più di 2 milioni, è meramente indicativo e calcolato per difetto visto che non tutti decidono di iscriversi all’Aire.

Il parlamento di Bruxelles è fisicamente e quindi mediaticamente, lontano, eppure è molto più vicino di quanto non sembri. I due piani: dumping fiscale e assenza di una vera cittadinanza europea si sovrappongono inestricabilmente. Ciò che lo “statuto per residenti non abituali” portoghese ci rivela è la mancanza di una regolamentazione a livello continentale di quella che è la principale colonna per la costruzione di uno stato sociale: quella fiscale.

DUE SONO QUINDI LE QUESTIONI a cui occorre dare una risposta. Primo: se esistono i cittadini europei, ovvero quelle persone che sono nate in un paese e vivono e lavorano in un altro, perché non esiste ancora uno stato sociale e un sistema fiscale europeo? Due: è possibile, pensabile o utile un ritorno a un sistema che prescinda da una regolazione continentale? Il cosiddetto sovranismo potrebbe avere un duplice effetto negativo: agevolando da un lato la concorrenza fiscale tra gli stati e dall’altra privando di quei pochi diritti ancora attribuiti a chi, per necessità, deve andare a lavorare all’estero.