«Pensiamo di recuperare una parte di deficit attraverso la vendita di immobili» ha spiegato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, a proposito della manovra di bilancio. Uno degli emendamenti inseriti recita: «Al fine di favorire la valorizzazione degli immobili pubblici, nonché il rilancio degli investimenti nel settore, per gli immobili oggetto di tali provvedimenti sono ammissibili anche le destinazioni d’uso e gli interventi edilizi consentiti, per le zone territoriali omogenee all’interno delle quali ricadono, dagli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti. Gli interventi edilizi sono assentibili in via diretta».

LA NORMA, cioè, consentirà a chi acquista immobili pubblici di cambiarne la destinazione d’uso utilizzando procedure rapide, come le autocertificazioni. Così in un quartiere storico sarà semplice convertire gli edifici dismessi dallo stato in uffici, hotel o supermercati, tutte attività evidentemente esistenti «nelle zone territoriali omogenee» in cui le strutture si trovano. Si tratta, quindi, di una misura per favorire gli investitori immobiliari in modo che acquistino. Nelle tabelle fornite dal governo a Bruxelles si legge che gli incassi attesi dallo stato per il 2019 da questa misura ammontano a 950 milioni, più altri 150 milioni l’anno per il 2020 e il 2021, totale 1 miliardo e 250 milioni da destinare ad alleggerire il deficit, il piano verrà varato entro aprile. Si tratta di una voce che pesa molto di più, ad esempio, di quanto atteso dal gioco d’azzardo (un gettito totale di quasi 700 milioni).

«Il Movimento 5S e la Lega hanno deciso di sfasciare e vendere alla speculazione edilizia le nostre città – il commento dei Verdi Angelo Bonelli, Sauro Turroni e Claudia Mannino -. Lo prevede la norma 223-decies del maxiemendamento presentato al Senato». Il testo modifica la legge 410 del 23 novembre del 2001, con la quale il governo Berlusconi cercò di cartolarizzare gli immobili pubblici, sempre con l’obiettivo di fare cassa. «Neppure Berlusconi pretese di passare sopra le decisioni dei comuni – continuano -. Con questa norma si potrà demolire e ricostruire, con buona pace della conservazione dell’antico tessuto edilizio e della stessa identità dei luoghi, si consentirà ogni cambio destinazione d’uso possibile, da scegliersi ovviamente fra le più vantaggiose, infilando ovunque attività commerciali senza alcun limite, senza alcuna richiesta di soddisfacimento di standard, anche con sistemi di autocertificazione. Spariranno le antiche botteghe per favorire fondi immobiliari, costruttori e banche, con il relativo impatto in termini di traffico ed emissioni nei centri delle città italiane, già ora congestionati».

Tuttavia, resta il ruolo dei comuni sia in conferenza dei servizi che nella stipulazione degli accordi di programma, entrambi imposti dalla legge: «Nel maxiemendamento c’è una norma che prevede una quota dei guadagni delle dismissioni da girare ai comuni che va dal 5 al 10% – spiega Bonelli -, è evidente che è un modo per metterli a tacere con un compenso minimo». Del resto gli enti locali hanno subito tra il 2010 e il 2017 un taglio dei trasferimenti dallo stato pari a 22 miliardi di euro e proprio i comuni sono stati i più colpiti, così nuove entrate sono sicuramente benvenute.

IL MAXIEMENDAMENTO rischia di avere un grande impatto nella composizione sociale dei centri cittadini anche facendo venire meno, di fatto, gli affitti calmierati, come denuncia Confedilizia: «Per la prima volta da tre anni, nella legge di bilancio non c’è la norma che vieta agli enti locali di deliberare aumenti dei tributi». Lo sblocco mette a rischio i contratti di locazione «concordati», quelli il cui canone è calmierato dagli accordi fra le organizzazioni dei proprietari e gli inquilini: contratti al di sotto dei valori di mercato in cambio di agevolazioni fiscali. L’aliquota ridotta, spiega Confedilizia, scadrà alla fine del 2019, i comuni avranno allora la possibilità di aumentare Imu e Tasi, visto che sono fra i pochi immobili in cui non sono già al massimo, provocando il rincaro dei fitti. Il governo innesca così una doppia espulsione: quella delle botteghe storiche e quella degli inquilini dai centri cittadini.