Dopo sette anni di apertura, solo ieri è stato inaugurato ufficialmente il Museo della storia dell’immigrazione, che ha sede alla Porte Doré, nell’edificio costruito nel 1931 per l’Esposizione coloniale. François Hollande ha aspettato 32 mesi di presidenza per intervenire sull’immigrazione, argomento che è di nuovo scottante in Francia, tra recrudescenza degli atti razzisti e antisemiti, crescita dei consensi al Fronte nazionale e derive sempre più a destra di Nicolas Sarkozy, che aveva rifiutato di inaugurare il museo quando era presidente e ora ripete che l’immigrazione “minaccia il nostro modo di vivere”. Hollande ha fatto un discorso soprattutto simbolico, per cercare di dissipare le “paure” e ricordare a un paese smemorato il peso dell’immigrazione: oggi, un francese su quattro ha almeno un nonno nato straniero. Ma oggi, Hollande lo ha ben presente, non basta ripetere l’ovvietà che “la storia dell’immigrazione è la storia della Francia”. Il presidente ha ricordato che anche nel passato l’immigrazione ha suscitato opposizione e violenze. Per farvi fronte, sceglie l’estrema prudenza: la promessa elettorale (che era già di Mitterrand nell’81) di concedere il voto agli stranieri residenti, non cittadini Ue, è ancora rimandata, perché “ci vuole una revisione costituzionale”, i tre quinti dei voti, e ora non c’è una maggioranza per farla passare (e anche l’opinione pubblica, un tempo favorevole, è ormai contraria a più del 60%). Hollande sceglie quindi la strada di rendere più facili le naturalizzazioni. Nella speranza che “la società venga rappresentata con tutti i colori della Francia” nelle sue istanze dirigenti. In linea con Sarkozy, privilegia anch’egli l’“emigrazione scelta”, cioè porte socchiuse per studenti e persone qualificate. Ci sarà una nuova legge sull’asilo, che accorcerà i tempi per dare una risposta ai candidati che chiedono rifugio in Francia. Su Schengen, che tutta la destra vorrebbe azzerare, Hollande promette “un’iniziativa” al Consiglio europeo, “per meglio assicurare l’efficacia e ripartire il peso” tra paesi firmatari. Nel 2015 è prevista inoltre una nuova legge sul soggiorno degli stranieri in Francia, che in cambio del ritorno al permesso pluriannuale chiederà ai migranti di dimostrare (o di acquisire obbligatoriamente) un livello sufficiente di conoscenza del francese e dei valori della Repubblica (tra i quali è in primo piano la laicità, cioè la neutralità rispetto all’appartenenza religiosa). La lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, dopo la recente aggressione di Clergy di cui è stata vittima una giovane coppia perché ebrea, è stata dichiarata “grande causa nazionale”.

Hollande ha cercato di riportare un po’ di razionalità in un terreno ormai preda dell’irrazionale. Nei fatti, la Francia accoglie meno migranti ogni anno di Gran Bretagna, Germania, persino Italia. Su 200mila entrate l’anno, 90mila sono per i ricongiungimenti famigliari, 60mila sono studenti, la migrazione per lavoro è ormai “residuale”. Ha ricordato l’apporto degli stranieri, dai premi Nobel al contributo economico (30 anni dopo la seconda guerra, una casa su due era stata costruita da immigrati, come il 90% della rete autostradale), fino alla partecipazione alle guerre per difendere la Francia. Ha ricordato Ponticelli, l’ultimo poilu (soldato della prima guerra mondiale) deceduto di recente, nato italiano. Ha condannato i “demagoghi”, ricorrenti nella storia francese, che trasformano l’immigrato in capro espiatorio. Ha visitato le sale del museo, dove è raccontata la lunga storia dell’immigrazione in Francia attraverso oggetti donati da discendenti di stranieri. Il principale donatore è François Cavanna, lo scrittore autore di Les Ritals.