Il libro bianco – inteso come sorta di dépliant programmatico ufficiale a fini illustrativi – del governo May sulla negoziazione dell’uscita dall’Ue è stato trionfalmente presentato ieri alla Camera dei Comuni dal Brexit secretary David Davis. In tutto 77 pagine, previa introduzione della premier, che contengono i temi e gli obiettivi, dodici in tutto, da cominciare a discutere con la controparte europea alla fine di marzo, secondo la tabella di marcia fissata dalla stessa May.

Il documento, preparato in tutta fretta dopo che la Corte suprema aveva imposto al governo un voto parlamentare sull’innesco ufficiale dei negoziati – vinto comodamente dalla maggioranza con 498 voti a favore e 114 contrari -, è evasivo sui contenuti della linea del governo. Aggiunge poco a quanto già enunciato da May nel recente discorso a Lancaster House, in cui la leader britannica aveva profilato gli spinosi temi sul tappeto. Per due ragioni: la prima, che fa comodo a May, è che non vuole scoprire le proprie carte ancora prima di trovarsi davanti l’avversario; l’altra, meno edificante, è che la mole del compito che aspetta il governo è di proporzioni talmente mostruose da impedire comunque la definizione in tempi brevi di una simile strategia.

In ogni caso, i temi sul tappeto sono: il commercio, con l’uscita dal mercato unico e la ricerca di un accordo di libero scambio con l’Ue; l’immigrazione dalla stessa Ue, perno della vittoria del Leave e causa fatta demagogicamente propria dalla premier. Sarà introdotto un nuovo sistema di controllo dei flussi d’ingresso che tenti di quadrare il cerchio del cronico fabbisogno di manodopera a basso costo dell’economia nazionale. Un accordo che tuteli i cittadini europei residenti nel Regno Unito e quelli britannici “da raggiungersi alla prima occasione”, altra questione su cui il governo temporeggia a fini tattici. La questione della sovranità: con l’immigrazione, altra chiave di volta della vittoria del Leave (il ritornello del “take back control” è stato anch’esso una delle colonne portanti della retorica separatista). Infine, l’altrettanto delicata questione dei rapporti con i parlamenti devoluti di Irlanda del Nord, Scozia e Galles, per i quali si profila una maggiore devoluzione dei poteri per contrastare la tettonica disgregante che spinge Belfast, Cardiff e soprattutto Edimburgo lontano da Londra. In questo caso, il mantenimento di un confine morbido tra Irlanda e Irlanda del nord è vitale per Londra, soprattutto alla luce della tormentata storia dei rapporti fra i due paesi. Critico il Labour di Jeremy Corbyn, che si è spaccato sul voto di mercoledì – 47 deputati hanno votato contro l’European Union Bill, la leggina redatta in tutta fretta dal governo, trasgredendo un’indicazione di voto particolarmente stringente da parte della leadership e provocando anche le dimissioni di 2 ministri del governo ombra: secondo Keir Starmer, shadow Brexit secretary, si tratta di poco più di una lista di desideri per lo shopping.