La condizione che vive oggi la Libia è terribile e la comunità internazionale, in primo luogo l’Unione europea, deve farsene carico, ricorrendo agli strumenti della diplomazia internazionale e alle Nazioni Unite. Evitando, come spesso è successo in passato – e nel 2011 – di mettere in campo soluzioni che producono altri problemi e instabilità.

Promuovere un’iniziativa diplomatica in Libia, che non sia l’ennesimo intervento neo coloniale a tutela degli interessi occidentali, non significa però, come il Presidente del consiglio ha sostenuto riferendosi ai flussi di migranti in arrivo sulle nostre coste, «risolvere il problema alla radice».

L’instabilità della Libia, e l’acuirsi di un conflitto con tanti soggetti e interessi diversi in campo, aumenterà il numero delle persone in fuga, ma non è la causa principale degli arrivi.

Guerre, violenze e persecuzioni riguardano diverse aree geografiche intorno al mediterraneo e hanno costretto e costringono centinaia di migliaia di persone a cercare protezione in Europa. Non è certo impedendo di partire dalle coste libiche che diminuiranno i flussi e i morti. L’assenza di vie di accesso legali e sicure consegna i profughi nelle mani della criminalità organizzata e ne consolida il peso, anche politico, soprattutto nelle aree instabili come la Libia.

Le soluzioni si possono trovare. Con l’apertura di canali d’ingresso umanitari, che però non devono corrispondere a quello che pensano molti governi europei, ossia all’esternalizzazione delle frontiere promossa dal processo di Khartoum. Con la richiesta all’Unhcr di gestire il rilascio di lasciapassare in campi d’accoglienza di paesi intorno al Mediterraneo, senza operare nessuna selezione se non quella su base nazionale.

Oggi in Italia e in quasi tutti i paesi dell’Ue, i primi due gruppi per numero di rifugiati e richiedenti asilo sono quelli provenienti da Siria ed Eritrea. Se solo l’Ue si facesse carico di questi due gruppi si risolverebbero quasi la metà dei problemi relativi alla sicurezza di chi tenta di arrivare in Europa.

Afgani, iracheni, nigeriani, palestinesi, tanti sono i gruppi che oggi abbandonano le loro case. Basterebbe affidare all’Unchr la gestione dei lasciapassare verso la sponda nord del Mediterraneo, con una ripartizione equa tra gli stati membri dell’Ue, per salvare un enorme numero di vite.

Probabilmente l’Ue è più interessata a spendere le risorse per pattugliare inutilmente le coste. Oppure per cofinanziare, come ha fatto il governo italiano, per più di 300 milioni di euro, un sistema radar nel sud della Libia, in pieno deserto. Appalto andato a Finmeccanica. E non abbiamo sentito nessuno dei paladini del risparmio dire una sola parola a proposito di queste risorse che basterebbero per finanziare più di 3 anni di Mare Nostrum.

Se poi consideriamo che il 2014 ha confermato, nonostante i 170 mila arrivi, che l’Italia è uno dei paesi che investe meno per l’accoglienza, con 64 mila domande d’asilo, considerando che in Germania le domande d’asilo sono state 204 mila e in Svezia più di 80 mila sempre nel 2014, capiamo come la retorica dello spreco e quella dell’invasione sono prive di fondamento e usate in modo strumentale.

Il 27 gennaio scorso, in occasione della Giornata della memoria, la Rai ha trasmesso un bel film inedito sull’arrivo degli alleati nei campi di sterminio. Una delle immagini più agghiaccianti è quella degli abitanti delle città vicine ai campi che, mentre a poche centinaia di metri dalle loro case si consumava una delle tragedie più terribili della storia dell’umanità, continuavano a vivere normalmente come se niente potesse scuoterli dal loro torpore.

Un giorno non lontano qualcuno si rivolgerà anche a noi europei e italiani per ricordarci quel che è successo sotto i nostri occhi senza che dalla civile Europa o dal bel Paese si alzasse un coro di voci capaci di fermare il massacro.