Islom è arrivato da Bukhara, la città uzbeka celebre per i suoi tappeti, a Mosca 10 anni fa. Fa servizio portineria, dandosi il cambio con la moglie, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno in uno stabile della periferia della capitale. «Non ce la passiamo male. Prendiamo 50 mila rubli al mese (circa 700 euro, ndr)». Ha come benefit un piccolo appartamento accanto alla guardiola. Sua figlia lavora come parrucchiera. «Ha conosciuto un bravo ragazzo di qui, presto si sposeranno». Il russian dream è tutto qui, modesto quanto si vuole, ma dignitoso come Islom, che sogna da pensionato di poter tornare a casa.

Il regime di Putin è sempre stato favorevole a importare manodopera dai paesi del «Vicino Estero». Per venire a lavorare in Russia dai paesi ex-Urss non serve il visto e per il libretto di lavoro basta superare un facile esame di lingua russa.

In un recente inserto sull’immigrazione, Nezavisimaya Gazeta ha ironicamente sottolineato che «se Trump e Le Pen fossero in Russia sarebbero all’opposizione». Ildar Gilmutdinov, deputato di Russia Unita afferma per esempio che «la scelta del visa-free è per noi strategica ed è inaccettabile l’idea di evitare il melting-pot tra diverse etnie». Parole che in Italia farebbero venire la pelle d’oca a Salvini. In Russia invece il ruolo della Lega nord è svolto da altri. Il deputato comunista Valery Rashkin ha proposto l’introduzione di visti per i cittadini centroasiatici «lavoratori a bassa qualificazione che rubano posti di lavoro ai russi». Una proposta simile è stata fatta anche da Alexey Navalny, il capo dell’opposizione “liberale” a Putin. Propaganda a buon mercato per un paese dove il 66% dei cittadini «è infastidito dalla presenza di stranieri».

Neppure il pericolo – reale – del terrorismo islamico ha fatto fare marcia indietro al governo. «Teniamo sotto controllo oltre 5000 individui di origine islamica a “rischio terrorismo”» afferma la polizia russa, che sostiene di aver impedito solo nel 2016 10 attentati grazie all’opera di intelligence.

La realtà è che la Russia ha una necessità vitale di forza-lavoro a basso costo, flessibile, ricattabile e, alla bisogna, deportabile. I lavoratori russi, come i loro omologhi “occidentali”, sono poco attratti dal lavoro nei cantieri, nei servizi di pulizia e manutenzione. Inoltre il paese ha sulla testa la spada di Damocle della decrescita demografica: l’aspettativa di vita dei russi è di 70 anni, dieci anni inferiore a quella dei paesi “avanzati” mentre la natalità continua a stagnare, malgrado negli ultimi anni il governo abbia approntato programmi di sostegno alle famiglie che intendono avere più figli. Non a caso prima che la crisi svalutasse pesantemente il rublo, era iniziato un significativo afflusso di forza-lavoro intellettuale dall’Europa occidentale.

Secondo i dati statistici oggi gli immigrati in Russia sono circa 11 milioni (in particolare provenienti dalle repubbliche dell’Asia centrale e dall’Ucraina, ma anche da Caucaso e Vietnam) a cui va aggiunta una quota variabile di 4-6 milioni di immigrati illegali. Praticamente assente invece è l’immigrazione cinese che non supera le 100 mila unità. Il governo per impedire il fenomeno tipico delle «migrazioni colonizzanti» cinesi ha varato una legge ad hoc per cui nel settore commerciale, le imprese straniere hanno l’obbligo di assumere forza-lavoro autoctona.

Il vero problema dell’immigrazione in Russia resta quello dell’accoglienza e la solidarietà di cui si fanno carico varie ong russe, paradossalmente in crescita negli ultimi anni, malgrado il governo le guardi con sospetto. Lo scorso anno il sindaco di Mosca ha fatto appello ai russi a partecipare al tradizionale concerto di fine anno sulla Piazza Rossa: negli ultimi anni la piazza è completamente egemonizzata da giovani asiatici che arrivano dalla periferia moscovita per festeggiare con pochi spiccioli l’arrivo del nuovo anno.

La Chiesa ortodossa russa, a differenza di quella cattolica, non si prodiga nell’accoglienza e anzi spesso soffia sul fuoco del nazionalismo grande russo. Fino a pochi anni fa la destra neofascista e xenofoba ha avuto mano libera per incursioni e pogrom nei mercati contro gli immigrati, ma va riconosciuto che il governo russo ha da tempo cambiato atteggiamento e ha stroncato con durezza il fenomeno che rischiava di trasformare le periferie delle città russe in piccoli universi di «guerre civili a bassa intensità».