A dispetto dell’anagrafe, si fa fatica a realizzare che Franca Valeri si avvii verso i cent’anni. Poche le rughe sul volto, l’acconciatura sempre uguale («diffido delle donne che cambiano spesso acconciatura, la reputo indice di scarsa personalità»), maniacale la cura delle mani, un vestito a bottoni elegante nella sua semplicità. L’unica cosa che le fa difetto è la parola che incespica ma che, alla fine, si raccorda col significato che sottintendeva.
La sua vita è stata ed è così ricca da non sapere dove cominciare. Procediamo per gradi o, meglio, a macchia di leopardo. Il suo vero nome è Franca Norsa: chi la convinse ad assumere uno pseudonimo?
Un giorno incontro una mia cara amica, Silvana Mauri, conosciuta sui banchi del Liceo Parini a Milano, che aveva con sé un libro di Paul Valery. Scegli Valeri – mi disse -, ti porterà fortuna. E così è stato.
Mauri era la moglie di Ottiero Ottieri, che ricordi ha della frequentazione dello scrittore?(era, anche, la nipote di Valentino Bompiani e lavorò in casa editrice per quarant’anni, «ndr»)
Di lui poco. Ricordo che aveva problemi di salute e, conseguentemente, di umore. Però Silvana lo amava molto e bastava questo a farmelo piacere.
Suo padre era di religione ebraica e le leggi razziali del ’38 divisero la sua famiglia. Lei si salvò in modo rocambolesco,ci ricorda come?
La famiglia di un’amica carissima di scuola – si chiamava Semenza – ci ospitò in Brianza. Improvvisamente Semenza morì e non volemmo pesare sui genitori alle prese con un lutto lacerante. Poi fummo ospitati a Perledo Bologna, sopra il lago di Lecco, da uno scrittore poeta importante, Paolo Buzzi (poeta futurista, fondò insieme a Marinetti la rivista Poesia e fu tra i primi firmatari del Manifesto omonimo, ndr). Buzzi suonava molto bene il pianoforte e amava molto l’opera, interesse che già condividevo. Poi,un impiegato dell’anagrafe mi rilasciò una carta d’identità falsa dove risultavo figlia illegittima di tale Cecilia Pernetta. Nonostante i tempi bui, c’era anche allora molta gente coraggiosa.
Mi piacerebbe la sua testimonianza sulla stagione del Teatro dei Gobbi. Che tipo era Alberto Bonucci?
Bravo,bravissimo! Oltre ad essere un tombeur des femmes. Gli piacevano molto le donne e lui a loro. Mentre Vittorio era di una comicità esilarante, lui era agli opposti. Purtroppo alla seconda stagione ci lasciò suppongo perché era geloso di me e di Vittorio che già formavamo una coppia nella vita reale.
Bonucci fu successivamente sostituito da Luciano Salce.
Salce lo adoravo,era bravissimo, aveva un tipo di comicità sottile, quando entrava in scena il pubblico andava in delirio, aveva un seguito immediato. Quando l’esperienza dei Gobbi giunse al termine mi dispiacque molto perderlo di vista.
Per ultimo ho lasciato Vittorio Caprioli.
Non basterebbe una giornata per descrivere chi era Vittorio. Intelligente, salace, perfetto conoscitore dei tempi del teatro. Ma poi lui si invaghì di un’altra ed io, contemporaneamente, di Maurizio Rinaldi. Mi entusiasmava che fosse un direttore d’orchestra. Mi ha insegnato molte cose della musica. Senza tralasciare che era un ragazzo affascinante, una tentazione per molte…
A Parigi vi esibivate in un teatrino che dividevate con Marcel Marceau.
Parigi allora era elettrizzante. Ho conosciuto Juliette Greco e Django Reinhardt ma non solo: non passava sera che non ci fosse in platea un nome importante. Una volta, ad applaudirci,riconobbi Coco Chanel. È in onore a lei che ho chiamato la mia gatta Coco.
Lei partecipò al film «Leoni al sole», liberamente tratto da «Ferito a morte» di Raffaele La Capria e diretto da Caprioli. Come furono i vostri rapporti con lo scrittore?
Ho ricordi di un amico caro. Sempre molto presente durante la stesura della sceneggiatura e durante le riprese.
Ci sono, nella sua carriera, titoli di film e di gag laconici, immediati: «La signorina Snob»,«Cesira la manicure», «La Sora Cecioni». Da dove le veniva l’ispirazione?
Dalla vita! Sono personaggi veri, reali, incontrati nella vita di tutti i giorni. Che ho incontrato personalmente.
Lei è stata molto amica di Colette Rosselli e di Indro Montanelli. Montanelli, mi pare, era un uomo assai diverso da tutti quelli che figurano nel suo panorama esistenziale.
Le posso dire una cosa: Montanelli era una persona molto gentile, e non in modo affettato. Ci ha subito organizzato un incontro al Corriere e per dei ragazzi sconosciuti era il massimo. Ma io ero soprattutto amica di Colette, Colette era molto snob ma, devo dire, elegante in tutte le sue manifestazioni.
Mi parla di Alberto Sordi?
Già rido! Abbiamo fatto sette film insieme. Alberto non era un comico qualunque, era un comico intelligente, unico. Interagivamo perfettamente quale che fosse la sceneggiatura ma, devo dire, gli scritti avevano molto del nostro. Mi piace ricordare che nasce durante questo sodalizio il mio intercalare «come va, Cretinetti?» però non ricordo dove collocarlo con esattezza, forse ne «Il vedo» che non tendeva a primeggiare. L’unica cosa brutta invece è che fuori dal set non ci frequentavamo. Finito il film scompariva, letteralmente.
E di Totò?
Con Totò parlavamo sempre di cani. Ci siamo trattenuti un po’ a lungo durante la lavorazione dei film in cui comparivamo e abbiamo sempre parlato di cani. Avevo ed ho un canile e lui mi aiutò, economicamente, a tirarlo su.
Lei ha girato con Fellini e con Monicelli. Com’erano?
È difficile fare delle comparazioni. Fellini era un genio, Monicelli era un uomo di un’intelligenza superiore. Sono stata sconvolta dalla sua morte. Quando l’ho appreso non volevo crederci. Che coraggio!
Ma so che De Sica è stato il suo regista preferito.
De Sica lo adoravo e lui mi amava molto, io andavo fiera di questo affetto. De Sica era un ma-e-st-ro (scandisce).
Ha conosciuto Pasolini?
Eccome! Pasolini era un grande amico di Silvana e ci siamo frequentati un po’,anche se in modo discontinuo. Ricordo che una volta venne a trovarmi in camerino, saranno stati i primi anni ’50, ma sinceramente non ricordo in quale pièce lavorassi. Allora lui era ancora sconosciuto, alla ricerca di una sua strada. Ho sofferto molto per la sua orribile morte. Era un amico geniale, proprio un piccolo genio.
A dispetto della sua (apparente) bonomia e della sua eleganza, lei ha sempre sostenuto la lotta dell’ex-cinema Palazzo occupato e del Teatro Valle durante l’occupazione.
E continuo a sostenerli, sempre. Quanto al Valle, è indegno di qualsiasi amministrazione e di un paese civile tenerlo chiuso. È una cosa, questa, che mi opprime, è un peso sul cuore. Io ho esordito al Valle.
Lei è stata sempre naturalmente elegante. Si è mai concesso qualche sfizio?
Beh, sì, il mio piccolo sfizio è stato quello di vestire qualche volta da Capucci, uno che sapeva vestire le donne. Ma era un po’ caro, devo dire.
Lei soffrì molto per l’orrore delle leggi razziali, comprensibilmente. Quando la guerra finì ed esposero il corpo di Mussolini a piazzale Loreto lei voleva andare ma sua madre la sconsigliava, voleva preservarla da altro orrore.
Io non mi sono data per vinta, ci sono andata senza esitazioni. Odiavo visceralmente quel corpo che aveva distrutto la mia giovinezza. Purtroppo adesso si tende a dimenticare e si fa molta accademia su questo argomento e sembra che non si capisca come si possa odiare tanto un uomo. Bisognava esserci passati . Solo chi ha vissuto quelle brutture SA e può parlarne.
So che ha sempre votato a sinistra. Anche se rischiamo di scadere nella retorica, vorrei chiederle dell’attuale momento politico.
Fra le molte disavventure che ci è toccato vivere a me pare che sia uno tra i peggiori.