Dall’omaggio dedicato al New American Cinema e curato da Jonas Mekas (1967), al grande lavoro fatto negli anni ottanta sulla produzione hollywoodiana e il funzionamento degli studios, ai programmi di cinema indipendente degli Eighties (1995), black (1996) e italoamericano (2007) la Mostra di Pesaro è tornata molto spesso sul cinema Usa, specialmente nelle sue aree meno battute, di ricerca. La retrospettiva di quest’anno – Panoramica sulla narrazioni sperimentali americane del nuovo millennio – è una scelta azzeccata non solo perché si riallaccia direttamente ai primi momenti della storia del festival, recuperando lavori recenti di alcuni grandi del New American cinema, ma perché arriva in un momento in cui il linguaggio del cinema sperimentale e astratto si parla ormai comunemente nel mainstream – da You Tube ai Transformers di Michael Bay. Programmata dallo studioso Jon Gartenberg, e dedicata a Adrienne Mancia (storica curatrice del Moma, poi al BAM, e tutt’oggi un’antenna appassionata e instancabile per tutto ciò che c’è di più vitale nel cinema contemporaneo), la retrospettiva è meno interessata a sottolineare l’evidente porosità di linguaggio che si è venuta a creare tra produzione commerciale e l’underground che a tracciare una mappa di autori attraverso cui stabilire un linea di continuità che vada dall’esplosione dell’Avanguardia storica americana, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, ad oggi. Se, dal punto di vista teorico, si tratta di una scelta curatoriale meno provocatoria di quella che avrebbe potuto essere, specialmente in un momento in cui la barriere tra (i) cinema – d’arte, documentario, di fiction, spettacolare… – stanno sempre di più perdendo di senso, anche per via della rivoluzione dei canali distributivi resa possibile dalla tecnologie digitali, il programma di Gartenberg è prezioso non solo perché raggruppa filmmakers e opere realizzate in totale autonomia creativa al di fuori dei canali del cinema indipendente codificato dallo stile Sundance e dall’esperanto del world cinema promosso dei circuiti produt/distributivi consolidati dai grandi festival internazionali, ma anche perché prova come lo scardinamento progressivo delle categorie di cui sopra sia meno una rivoluzione di oggi, nata da un improvviso corto circuito tra le sale cinematografiche e le gallerie d’arte, che il frutto di una ricerca espressiva portata avanti grazie al lavoro di autori che queste commistioni di linguaggi le praticano da sempre.
Abigail Child, Kevin Jerome Everson, John Gianvito, James Benning, l’animatore e studioso di animazione John Canemaker, Bill Morrison, Marie Losier, James Franco, Ken Jacobs e suo figlio Aza….sono alcuni dei nomi dei registi inclusi nel programma. A ciascuno di loro è riservato un film solo, in una selezione quasi tutta fatta di lungometraggi ma punteggiata da qualche corto di riferimento. Alcuni degli autori che ne fanno parte lavorano su girato preesistente, come Bill Morrison (il cui bellissimo The Great Flood è realizzato con materiali d’archivio sulla [/V_INIZIO]più disastrosa alluvione della storia Usa, avvenuta nel Delta del Mississipi nel 1927) e Penny Lane (autrice di Our Nixon, tutto a base di filini in Super8mm realizzati dai collaboratori di Richard Nixon – un home movie incredibile, da cui sprizza tutta la paranoia del Watergate). Altri, come Gianvito, Barbara Hammer (presente con A Horse Is Not a Metaphor, un film del 2009 sulla sua lotta contro il cancro) e Shoja Azari, intervengono con tecniche sperimentali su girato prodotto da loro stessi.
In The Moon and the Son: an Imagined Conversation (2006, Oscar per il cortometraggio animato), con un processo che Michel Gondry ha parzialmente ripreso nella sua non immaginaria conversazione con Noam Chomsky in Is the Man Tall Who Is Happy?, John Canemaker usa l’animazione e una conversazione mai esistita, per esplorare il rapporto con suo padre. È un film che interagisce con il lavoro di suo padre anche Momma’s Man, di Azazel Jacobs (vincitore del gran premio della giuria a Sundance 2008) ambientato nel loft dove vivono i suoi genitori, che è anche la centrale creativa di suo padre Jacob, e il soggetto di uno dei corti in programma firmato da lui, The Loft. La contaminazione tra fiction e documentario è invece il soggetto sotteso di The Future is Behind You, uno degli episodi della Suburban Trilogy della regista e poetessa di Newark Abigail Child (classe 1948), e di Francophenia una collaborazione tra l’ubiquo trentaseienne James Franco e Ian Olds, composta di materiali di scarto della soap General Hospital (in cui Franco aveva un ruolo ricorrente) e costruito come un gioco degli specchi sull’identità. La lotta contro l’Aids (evocata anche da un recente adattamento Hbo della leggendaria pièce teatrale di Larry Kramer A Normal Heart) è il soggetto di Fight Back, Fight AIDS, 15 Years after Act Up, mentre in This Side of Paradise Jonas Mekas, nel 1999, ha ricavato un film di 35 minuti dalle immagini di Jackie Kennedy con i suoi figli che aveva girato solo qualche anno dopo la morte del presidente. Sostanzialmente privo dei documentari di denuncia in stile reportage Tv che dominano gran parte delle produzione contemporanea di non fiction, il programma di Gartenberg evidenzia però come l’impegno politico sociale sia un leit motiv di questo cinema.